Le 23:30 di una sera di fine estate, all’indomani della festa patronale. Tre botti forti, dal suono sinistro, che non conoscevo e che non lasciava presagire niente di buono. Dal balcone di casa ho visto sollevarsi una nuvola di polvere, illuminata dal faro sulla gru; si trattava di esplosioni in un “discusso” cantiere edilizio, a un tiro di sasso dalla costa. Al mattino dopo abbiamo conosciuto i dettagli: due ordigni nel cantiere sul mare, il terzo fatto esplodere in un altro cantiere; indiscrezioni cittadine dicono che siano tutti ai danni della stessa impresa.
Da una parte dovrei dire che tre ordigni nei cantieri edili dovrebbero aver riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica su un settore al crocevia di diversi temi: bisogni dei cittadini, attività produttive, modello di città, problematiche ambientali. D’altra parte, il fatto doloso in grande stile, imponendosi all’attenzione, porta in secondo piano le tematiche urbanistiche ed ambientali, che invece avrebbero meritato maggiore attenzione.
Senza addentrarci in analisi che competono agli inquirenti, penso che rimangano pochi dubbi nell’affermare che tre ordigni esplosivi nello stesso comparto produttivo costituiscano un atto doloso di inedita gravità, studiato, organizzato e messo in atto.
Gli inquirenti sapranno far luce, è il loro compito. E nel frattempo? Che si fa quando scoppiano le bombe? Questo mi chiedevo da padre, da docente, da cittadino. Nei giorni della ripresa delle attività formative ci sono le uniche risposte che so dare, quelle sul piano educativo. Peccato che si tratti di risposte a medio-lungo termine.
Quando scoppiano le bombe, invece, è finito il tempo delle attese a tempo indeterminato, accompagnate magari da analisi e slogan a buon mercato. Serve subito una presa in carico da parte dello Stato e della politica, con tutti strumenti necessari, strumenti di controllo del territorio, ripristino della legalità, buona amministrazione. Servono buoni cittadini che bonifichino la palude, come hanno scritto le associazioni locali dopo questi fatti, ma servono anche buoni amministratori della cosa pubblica.
E così, quando scoppiano le bombe, ci si rende conto del ritardo, di tanti ritardi. Gli amministratori buoni ed esperti di oggi, così come i buoni cittadini, avremmo dovuto seminarli dieci o venti anni fa. Invece, forse, ci siamo occupati di altro; come Chiesa abbiamo ripiegato su altri modelli formativi, altre priorità. Pure per me, più facile scrivere i commenti al vangelo domenicale (come riprenderò a fare per qualche altra domenica) che non approfondire, entrando nel merito, i temi culturali e sociali.
A proposito della formazione di buoni cittadini, dopo le bombe notturne, un incontro nei giorni successivi ha costituito una seconda sberla. Tornando dal lavoro ero sulla rampa del sottopassaggio; due giovani, appena scesi dal treno, si vantavano di aver viaggiato senza biglietto. “E se il controllore me lo avesse chiesto… (oscenità irripetibili)”. I giovani viaggiatori senza biglietto, molto probabilmente, nulla avranno a che vedere con chi mette le bombe. Ma siamo sicuri che il terreno di coltura sia davvero distante? Oppure, siamo sicuri che questi due mondi prima o poi non comunichino?
Anche se i viaggiatori senza biglietto, dall’eloquio sboccato, costituiscono solo una frazione minima dell’arcipelago giovanile, quello scorcio di conversazione, costituisce, per me educatore (in senso stretto, in quanto padre, e in senso lato, in quanto docente), l’ennesima manifestazione di qualcosa che non ha funzionato nei “fondamentali”. Una manifestazione che fa male come una sberla. “Avranno frequentato anche loro aule scolastiche ed aule di catechismo; forse frequentano l’università, eppure…” questo pensavo, non riuscivo a non pensarlo.
Quando scoppiano le bombe, ed anche prima, ci diciamo, giustamente, che il nostro compito, di genitori, insegnanti, educatori a vario titolo, è quello di tener vivi tutti i possibili presìdi: scuole, palestre, teatri, oratori, associazioni, spazi pubblici (reali o virtuali). Eppure, sembra che qualcosa non funzioni, in particolare quando i ragazzi diventano giovani. Molto approssimativamente, direi che è in quello snodo che ce li “perdiamo”. Li perdiamo con il cattivo esempio di noi adulti, nelle cose piccole e in quelle grandi, come la politica e l’impegno per gli altri. Li perdiamo con una formazione di scarsa presa e/o poco spessore, per cui il senso civico finisce relegato ai ricordi da libro Cuore, così come infantile rimane la formazione religiosa.
Quando scoppiano le bombe, tener vivi i presìdi è un ottimo slogan. A questo slogan dobbiamo accompagnare permanentemente una verifica critica dell’azione formativa che stiamo attuando.
Non ho ricette. Mentre si accumula il ritardo, mi tengo strette almeno le inquietudini.
Una sberla sociale? Di più..come da cronaca odierna, con imminenti elezioni di Autorità governanti la città, fa scalpore che un uomo assistente social di un noto politico, sia indagato per cessione e detenzione di sostanze stupefacenti. (festa in cascina con amici). Di fronte a certi casi, questi o altri, coinvolgenti il politico in campagna elettorale, che si rivolge al cittadino chiedendogli fiducia in quell’operato che promettere mantenere una volta eletto nel ruolo cui aspira, il cittadino anche risente dello sgradevole contraccolpo, gli sorgono dubbi e getta ombra su certezze future. Così a trarne vantaggio saranno quelle persone che per doti di specchiata coerenza con principi provati, trasparenza ispirano quella fiducia, come da esempi che già oggi ci danno motivo di sperare. Forse non tutto il male vien per nuocere e tutto può essere utile esperienza ad acquisire responsabilità nelle scelte.
Quando scoppiano le bombe, è una sberla sociale? Sì, certo. Se, come si presume, sono stati pensati a provocare alla comunità un danno come gesto provocatorio, per aumentare dissenso a una idea, rimarcare attenzione a un problema, ostentare potere distruttivo per imporsi alla attenzione della collettività. Viene spontaneo, quando si vede una panchina dissestata, eccesso di rifiuti, muri inzaccherati appena ripuliti, da dove nasca tanto desiderio distruttivo, se famiglia , scuola, ambiti di dove si fa assegnamento di crescita educativa. si rendano conto di avere responsabilita in quanto ambiti privilegiati per una crescita evolutiva della persona, e soprattutto quando non sono da attribuire a carenza di mezzi. E/o povertà. Forse un dialogo più ravvicinato genitori-insegnanti, condividere un progetto anche educativo ?Una maggiore consapevolezza di quanto sia importante la cura della singola persona a fare la società del domani.e domandarsi :Quale?