Tornare a ragionare di politica, famiglia ed economia

A seguito di un'intervista al Presidente del Forum delle Associazioni familiari, qualche risonanza e qualche spunto di dialogo su demografia, sostegni economici, politiche sociali, lavoro femminile
3 Febbraio 2022

Quanto scrivo nasce da un’intervista avvenuta con Gigi De Palo, Presidente del Forum delle Associazioni familiari (qui il link per poterla ascoltare)

«Parlando della famiglia, mi viene una preoccupazione, una preoccupazione vera, almeno qui in Italia: l’inverno demografico […]. Facciamo tutti il possibile per riprendere una coscienza, per vincere questo inverno demografico che va contro le nostre famiglie contro la nostra patria, anche contro il nostro futuro» (Francesco, Angelus, 26.12.21). Non è passato molto tempo dall’ultimo appello del Santo Padre a proposito dell’inverno demografico nel quale sta sprofondando il continente europeo; i dati dell’ONU del 2019 mostrano che il fenomeno è circoscritto alle aree più benestanti del mondo, mentre nei Paesi poveri e in via di sviluppo il trend demografico è in crescita: se globalmente infatti l’inverno demografico è un fenomeno inesistente, tanto che la popolazione mondiale è in aumento, in Europa la situazione è diversa. È utile ricordare un altro passaggio del Pontefice nel quale esprime la sua preoccupazione: «Il calo demografico, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire» (Francesco, Amoris Laetitia, n.42).

In alcune parti del continente i dati demografici sono ancora accettabili, ma in Italia la situazione è drammatica. In Francia, uno dei Paesi modello per quanto riguarda le politiche familiari, il tasso di fertilità aggiornato al 2020 è di 1,83 figli per donna, mentre in Italia è 1,27; l’indicatore è di facile comprensione: minore di 2 indica una popolazione in diminuzione, uguale a 2 indica un ricambio generazionale perfetto e un valore superiore evidenzia una popolazione in crescita.
La crisi demografica non è un pericolo da sottovalutare ma anzi la vera emergenza del Paese, da cui derivano le crisi di carattere sociale, sanitario ecc.

Un primo problema è il fatto che senza un adeguato ricambio generazionale sarà sempre più difficile sostenere una popolazione con una longevità costantemente in aumento: infatti il sistema pensionistico è stato pensato come un sistema a piramide, dove la base più larga è rappresentata dalla popolazione lavoratrice, che si fa carico della popolazione anziana o non più in età lavorativa, cioè della parte numericamente inferiore. Oggi con la diminuzione dei nuovi nati, la maggior prospettiva di vita e il conseguente aumento della popolazione ultrasettantenne si assiste al rovesciamento della piramide: i pochi giovani lavoratori sostengono, con il loro reddito, non solo la propria famiglia ma una parte sempre maggiore della popolazione che percepisce la pensione.

Un’altra tematica riguarda il mondo della sanità; il personale inevitabilmente diminuirà mentre aumenterà sempre più la popolazione fragile che necessiterà di cure adeguate; non solo ci sarà meno personale sanitario e più malati, ma la spesa sanitaria crescerà, gravando anch’essa sulle spalle della sempre minore percentuale di lavoratori.
Un terzo elemento conseguente alla crisi demografica è la minore capacità di creare ricchezza di tutto il Paese. Un esempio per combattere le culle vuote viene dal Giappone, dove la mancanza di lavoratori viene combattuta dall’implementazione di nuove tecnologie che sostituiscano la presenza umana, riuscendo quindi a garantire una creazione di ricchezza maggiore rispetto a quella che si avrebbe con la sola forza lavoro disponibile.

Nonostante lo strumento utilizzato dal Paese nipponico possa funzionare nel breve periodo almeno per quanto riguarda l’aspetto di produttività nazionale, è evidente che l’aumento delle culle vuote non può essere combattuto che con un’apertura della società alla vita: «L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. Grandi Nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto “indice di sostituzione”, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “cervelli” a cui attingere per le necessità della Nazione. Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà. Sono situazioni che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. […] Gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n.44).

Il nostro Paese, all’interno dei Paesi Ocse, ha un tasso di fertilità superiore solamente a Malta e Spagna e una delle cause è la mancanza di vere politiche familiari, che negli anni sono state sostituite da una politica dei bonus dai dubbi risultati; solo di recente sembra essersi mosso qualcosa in questa direzione: è infatti stato creato l’assegno unico universale, destinato a tutti i lavoratori e non solo a quelli dipendenti, che accorperà i vari bonus e gli assegni familiari e che si baserà sull’Isee. La misura è molto lontana da politiche familiari strutturate come quelle realizzate in Francia, dove è stato introdotto il quoziente familiare, strumento che consente di basare la tassazione sulla famiglia, a cui viene riconosciuta piena soggettività e non sul singolo cittadino come invece accade nella Penisola. Infatti in Italia la famiglia non ha alcuna soggettività, per cui i figli, non venendo concepiti culturalmente e fiscalmente come risorsa, diventano un costo aggiuntivo per la famiglia che è difficile da sostenere. Va comunque colta la bontà del progetto, che almeno estende la platea a cui si rivolge: non risolverà il problema demografico, ma potrebbe essere, si spera, un primo passo per mettere al centro dell’agenda politica la famiglia.

Non si può però parlare di politiche familiari senza toccare uno dei problemi della politica italiana: la durata dei Governi e conseguentemente la mancanza, in ambito familiare, di un’agenda politica con una prospettiva di almeno vent’anni; serve un piano che abbia un orizzonte temporale ampio e che possa, nel breve ma soprattutto nel lungo periodo, consentire alle famiglie di avere figli senza per questo rischiare di entrare nella fascia più povera della popolazione, rischio ancora oggi molto concreto. È inoltre opportuno ripensare al peso specifico del ministero della famiglia, che dovrebbe divenire un ministero trasversale, dovendosi occupare di economia, welfare, lavoro, scuola.

Rimane necessario risolvere il grande problema del lavoro femminile: come riporta il pattoXlanatalità del Forum delle Associazioni familiari, la donna è costretta a scegliere se essere madre o lavoratrice; va anche considerato che con la venuta al mondo dei figli il pericolo di cadere sotto la soglia di povertà aumenta notevolmente generando un cortocircuito: la famiglia con figli ha bisogno di più redditi per potersi permettere un tenore di vita adeguato, ma allo stesso tempo una volta partorito è difficile per la madre trovare lavoro; questo meccanismo distorto è da correggere il prima possibile. Va anche sottolineato, a scanso di equivoci, che i dati nei maggiori Paesi europei dimostrano come l’aumento del lavoro femminile non abbia un nesso causale con il calo demografico; in Italia il “legame” tra i due è dovuto all’assenza di meccanismi e di servizi che consentano alla donna di conciliare la posizione lavorativa con l’essere madre.

Serve un passo verso la famiglia soprattutto dal punto di vista culturale, che deve essere centrale nella società per le esternalità che produce, non da ultimo in quanto l’educazione dei figli ha effetto su tutta la società nel presente e nel futuro. Va riconosciuto il ruolo pubblico della famiglia, pur rimanendo a suo modo una “piccola società privata”; non vanno dimenticati altri benefici che genera come la creazione di reti sociali e relazionali, che si possono trasformare in aiuti economici, in erogazioni comuni di servizi e altro ancora.
Le politiche a sostegno della famiglia sono un investimento educativo, sociale, di contrasto alla povertà e alla denatalità che, se fatto seriamente, risulta vincente per tutta la società: più forte è la famiglia, più forte è la società del presente e più forti saranno le nuove generazioni.

5 risposte a “Tornare a ragionare di politica, famiglia ed economia”

  1. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Quello che certe persone non riescono a capire è che se oggi il’mondo’ è così ci saranno ben dei motivi! A che serve sparargli addosso? A sentirsi diversi e più bravi?
    Chiedo, anzi pretendo che mi si risponda:
    In che modo faremo Missione, Catechesi, Annuncio?? Sparando giudizi e pregiudizi??
    COME SAREMO ACCOLTI??
    PS. magari accorgersi che quello che chiamiamo ‘il mondo’ è solo il ns yazz/recintello/ovile…

  2. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Non e’ solo la denatalita’ . La crisi della famiglia comincia dalla crisi del matrimonio. Anzi dalla ridicolizzazione del matrimonio. Secondo il Corriere della Sera oggi a Milano il 44% della popolazione e’ single.
    Anni e anni di propaganda martellante contro la famiglia hanno portato a questo risultato.
    Oggi , a Milano, il 44% delle donne fra i 25 e i 35 anni non solo non ha alcuna intenzione di avere figli ma neppure di sposarsi. Gli uomini poi, fino a trentacinque non c’è l’ avevano neppure prima l’ idea di sposarsi. Ma quello che fa la differenza e’ il cambio della mentalita’ femminile.
    Un uomo oggi , sotto i 35. Anni, che volesse sposarsi e fare figli dovrebbe cercare col lanternino una compagna . Forse la troverebbe solo negli ambienti dei “ fondamentalisti” cattolici, ebrei o musulmani .

  3. Andrea Mobiglia ha detto:

    Capisco e condivido pienamente l’osservazione di Borghi sul problema di natura esistenziale relativo alla questione demografica e familiare; allo stesso tempo non credo che le questioni siano da scindere ma piuttosto da approfondire tenendole legate (a tal proposito avevo scritto qualcosa sulla necessità di andare oltre l’Homo Economicus proprio su vinonuovo). Esporre il problema dal punto di vista politico-economico non esclude la questione esistenziale ma anzi ne è parte essenziale: non solo bisogna riconoscere il valore intrinseco della famiglia e dei figli ma è necessario che poi ci siano le condizioni affinché il desiderio di genitorialità possa realizzarsi appieno. L’esempio di Di Benedetto sulla questione asilo nido è un ottimo sunto di tutto questo.

  4. gilberto borghi ha detto:

    La denatalità è il segno di una società senza futuro!
    Ma se ci preoccupano gli effetti economico sociali, stiamo ragionando su motivazione estrinseche alla nascita di un figlio. E il rischio è che senza volerlo, finiamo per “utilizzare” un figlio come strumento per ripristinare un benessere che temiamo di perdere. Mi sembra davvero poca cosa!
    Molto meglio ricordare che, come dice l’articolo, la denatalità è tipica dei paesi più benestanti. Il che vuol dire che il motivo va ricercato proprio in quel modello di vita. Non ha senso insistere sul fare figli se il modello non cambia.
    Manca il valore alto dell’esistere, eroso dalla società del benessere. Non dico sia meglio vivere in povertà, ma se vivere prende senso non tanto dal radicale dato di esistere, ma solo dalla qualità di vita che abbiamo, allora si comprende perché non si fanno figli, o perché se qualche elemento di quella qualità di vita viene meno, posso mettere fine alla mia vita.

    • Sergio Di Benedetto ha detto:

      Quanto dici, Gilberto, è una parte della questione, ossia quella antropologica-esistenziale (a cui aggiungo una nota sociale: chi ha girato un po’ il mondo ha potuto vedere che altrove i figli siano meno ‘condizionanti’ e più ‘autonomi’ rispetto alla media italiana, dove c’è un accudimento forte, con pregi ma anche difetti). Tuttavia delle motivazioni economiche notevoli incidono sulla demografia, come suggerisce l’articolo: se un asilo nido costa 600 euro al mese (esempio pratico che vedo in diversi amici), già 2 figli hanno il ‘costo’, solo del nido, di uno stipendio. E il resto? Parliamo del costo delle case, soprattutto in città (dato di oggi: Milano ha il 44% di single). Ma qui si parla solo di pensioni, quota 100/102…

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