La vicenda che vede coinvolta in queste ore Aisha Romano mi ha fatto molto riflettere. Vorrei però affrontarla in maniera ruvida sotto un aspetto diverso rispetto a Daniele Giannolla e Gabriele Cossovich , qui su vino nuovo.
Sono un lettore appassionato dei giornali ed ho molti amici giornalisti. Un giorno uno di loro mi chiedeva di alcune questioni politiche locali per un pezzo e gli ho raccomandato di essere obiettivo nel suo articolo. La sua risposta lapidaria è stata che lui non è un fotografo, rivendicando la libertà di pensiero e di informazione. Giustamente! Ho un grosso rispetto per il mestiere difficile del giornalista.
Perciò quel che mi urge oggi è mettere in discussione la moralità di un certo modo di fare giornalismo che idolatra la propria libertà, come emerge dalla vicenda di Aisha Romano. Infatti abbiamo visto tutti che la stura a certi istinti sui social è stata data da titoloni ad effetto schieratissimi al punto che non si sa più se sia l’informazione a creare l’opinione o sia l’opinione a forgiare l’informazione. Poi abbiamo sentito risuonare nelle aule di un parlamento, ostaggio dei circuiti mediatici nazionali di ogni colore, l’indicibile accusa a Silvia Romano di essere neo-terrorista. L’invenzione di un sentimento si è fatta in poche ore racconto di fatto accaduto.
La domanda è: perché siamo arrivati a questo punto? Come può accadere che una vittima sia trasformata in carnefice, tralasciando proprio l’obiettività di una storia da raccontare?
Sarò nudo e crudo. Non solo i politici possono essere corrotti, ma anche i giornalisti lo possono essere. Ambedue hanno un idolo: se stessi. Anzi dirò di più: un giornalista corrotto è peggio di un politico corrotto perché potrebbe contribuire, usando equilibrio ed obiettività, alla maturazione morale della pubblica opinione, ma non lo fa.
Quando si è corrotti? Succede quando si diventa idolatri e si smarrisce il senso della libertà vera, diventando schiavi di una libertà idolatrica, di se stessi, delle proprie convinzioni e più prosaicamente -in qualche caso- del proprio interesse. Occorre sempre esercitare la libertà di pensiero con responsabilità, specie quando si ha possibilità di essere ascoltati dai più. Quando invece irresponsabilmente non si esercita la vera libertà, quella che ci libera dall’ossessione per le nostre idee e per noi stessi e ci trasforma in comunità, il pericolo è altissimo per tutti. Max Weber, dopo aver visto i nazionalismi all’opera sui giornali nella Grande Guerra, scriveva nel 1919 che “proprio le prestazioni giornalistiche irresponsabili a causa della loro tremenda efficacia restano impresse nella memoria”
Spesso pensiamo invece che esista solo il potere politico o quello economico. Anzi i politici sono diventati oggi le nostre bestie nere, peggio dei pubblicani e delle prostitute di un tempo.
Esiste invece il Potere dell’Informazione. Ultimamente mi ha anche molto colpito un passo di Paolo De Benedetti che ho condiviso con amici fraterni in cui scrisse ormai 50 anni fa: “Tutti riconoscono facilmente le monarchie economiche; più dissimulate sono le monarchie dell’opinione e della cultura anche perché gli intellettuali sono nella stessa misura avidi di re ed avidi di mutarli….in realtà si potrebbe ripetere il discorso fatto a proposito del vitello d’oro, nato come immagine di Dio e divenuto idolo. Ci sono idoli materiali ed idoli mentali, idoli popolari, filosofici e teologici” Quanto è importante allora oggi la funzione sociale del giornalista veramente libero!?
Ho voluto riportare questi pensieri perché a me pare che oggi la libertà di informazione e di pensiero sia diventata un vero e proprio idolo da adorare, un idolo che basta a se stesso e che si nutre spesso di paure, superficialità e ricerca di consenso. Diciamoci la verità: oggi in certe dinamiche di potere, quello vero, conta più un giornalista schieratissimo e temuto che esercita a suo modo un potere personale che non un Parlamentare della Repubblica. I giornalisti coscienziosi, quelli che si pongono limiti e domande, hanno poco spazio.
Forse è questo il motivo della scarsa attenzione ad intellettuali e giornalisti provenienti dal cattolicesimo impegnato?
Comunque concludo, nella speranza di aver suscitato qualche riflessione, soprattutto contraria.
Lo faccio con Papa Francesco che nell’ultimo messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali scriveva “In un’epoca in cui la falsificazione si rivela sempre più sofisticata, raggiungendo livelli esponenziali (il deepfake), abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano.”
Lo so non è sempre così. Conosco tanti giornalisti che sono lontani anni luce dai criteri che denunciavo e sono molto vicini al pensiero di papa Francesco, ma la domanda del loro lettore è: perché non si ribellano? Perché non si fanno sentire? Hanno paura?
Ma anche:
https://statistichecoronavirus.it/statistiche-coronavirus-grecia/
È perché siamo in Italia?
De Luca è in Africa?
Di queste cose dovrebbe farsi carico un giornalismo serio, non delle virgole.
PS. Come cristiani DOBBIAMO chiedere giustizia.
E p.f. non diamo le colpe a medici e infermieri.
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1552822394885716&id=100004739110434
Questo il giornalismo che amo.
Diventare idoli di se stessi,sentirsi tali perché convinti dal consenso di ascoltatori attratti non dal pensiero dell’autore ma dal modo di esprimerlo, da una estetica studiata, curata dal medesimo per esibire con artificiosa supponente autorevolezza,una libertà di pensiero tutto proprio, che si vuole imporre senza renderlo palese, ricorrendo appunto a un modo di introdurlo all’attenzione , ma che Fa leva su sentimenti fragili, a suscitare emozioni, privo di verità, di ciò che il cittadino, a certa persona avrebbe bisogno di credere sia vero, nell’onesto, nel bello, una presa in giro a speranza, a impegno possibile a essere perseguito. Tutto questo è ciò che giunge al cittadino semplice, quasi un sentirsi circuito per
neppure di un interesse di partito, né a un credo, neppure di sincera coerenza coerenza al proprio impegno politico o di fede o altro ambito in cui si trova a operare, No. un IO che idolatra se stesso, un virus fatto persona
In realtà, oltre alle leggi che regolano la professione giornalistica, esistono anche precise norme deontologiche che dovrebbero evitare certe esagerazioni, per non dire di peggio. Ma ci sono testate, editori e direttori che le rispettano di più ed altri di meno. L’Ordine dei giornalisti commina anche delle sanzioni e spero che intervenga pure in questo caso. Tuttavia alla base di questi comportamenti non credo ci sia tanto il potere dei mezzi di comunicazione, che da noi sono tutti in crisi e sempre più soppiantati dai social (da cui la rincorsa a titoli e linguaggi che sembrano proprio presi da lì o dalla pubblicità), quanto il peccato originale della commistione tra giornalismo e politica, per il quale spesso si entra nei giornali grazie a pressioni politiche e si arriva in politica dopo essere transitati da alcune redazioni. Ed è un peccato di antica origine in Italia.