Qualche spunto da ‘Economy of Francesco’: famiglia e terzo settore

Proviamo a esemplificare quanto emerso da 'The Economy of Francesco', tenendo sullo sfondo la Dottrina sociale della Chiesa, e soffermando l'attenzione su due ambiti: famiglia e terzo settore
12 Gennaio 2021

L’incontro The economy of Francesco ha lasciato alcuni spunti molto utili, che è necessario vengano ripresi e trasformati a partire dalla realtà economica che c’è attualmente, per non rimanere un semplice impegno formale o una serie di concetti giusti e accettati da tutti ma che, infine, non provocano alcun reale cambiamento; è necessario che, in un prossimo appuntamento (o qualsiasi sarà l’evoluzione che l’evento avrà) siano coinvolti non solo i giovani ma anche i corpi intermedi, come sindacati, associazioni, industriali e il mondo delle banche, proprio per essere il più concreti possibili, una volta date le basi di partenza (come si è provato a spiegare nei precedenti articoli).

Cercando di non distaccarsi dalla realtà, proviamo a ipotizzare, tenendo negli occhi la tre giorni di Assisi e la dottrina sociale della Chiesa, un possibile utilizzo dei 200 miliardi in arrivo dall’Europa (di cui circa 80 a fondo perduto, mentre il resto è denaro a prestito); è solo un esercizio, ma potrebbe essere un buono spunto per delle possibili trasformazioni pratiche dell’incontro. Seguendo la dottrina sociale e gli eventi pandemici dell’ultimo anno, sono molte le aree su cui concentrare maggiormente gli sforzi (le quali a loro volta toccheranno altre aree di rimando e si intersecheranno inoltre tra di esse); si proverà qui brevemente a trattare di famiglia e terzo settore, evitando di toccare altre aree quali sanità, scuola e lavoro, altrettanto vitali per la società tutta.

I soldi del Recovery fund serviranno a rendere più efficiente il Paese, o almeno questo è la speranza di tutti, anche se certamente non si può pensare che il fondo farà miracoli, ma alcune soluzioni mirate potrebbero essere attuabili, tenendo sempre presente che occorre utilizzare i 200 miliardi anche per creare ricchezza, cioè per essere sostenibili; in primo luogo è necessario che lo Stato diventi alleato della famiglia, non solo con semplici bonus ma con un programma più strutturato, un vero Family act che dia alla famiglia delle agevolazioni che, a sua volta, si ripercuoteranno sull’economia del Paese stesso: la prima, necessaria riforma da fare è quella fiscale (riconoscendo in primo luogo la famiglia come soggetto fiscale), così come si può dedurre anche dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 214, che dice che «il punto di partenza per un corretto e costruttivo rapporto tra la famiglia e la società» è proprio «il riconoscimento della soggettività e della priorità sociale della famiglia».

Il nucleo familiare deve diventare appunto un soggetto economico, come avviene in altri Paesi, tra i quali ad esempio la Francia; attualmente infatti, pur esistendo alcune lievi agevolazioni, non si tiene conto ad esempio dei figli a carico, per cui, semplificando notevolmente, due persone con un uguale reddito ma delle quali solo una ha una famiglia e figli a carico pagheranno le stesse tasse, ma la persona single avrà a disposizione una quantità di denaro superiore rispetto a quella sposata, in quanto quest’ultima, con gli stessi soldi, dovrà provvedere al sostentamento dei figli. Attuando la riforma fiscale e seguendo le indicazioni del Forum nazionale delle associazioni familiari, che chiede da anni l’introduzione del Fattore famiglia accompagnata da una no tax area mobile per le famiglie con redditi più bassi, si darà ossigeno alle famiglie sotto la soglia di povertà, garantendo a quelle “più ricche” una tassazione adeguata; seguendo le indicazioni del Forum quest’idea costerebbe circa 16 miliardi l’anno, che si potrebbe inizialmente finanziare con il Recovery plan per poi finanziarsi grazie a un aumento dei consumi provocati dalla stessa riforma fiscale e da un taglio di altri elementi: ispirandosi alle parole del Pontefice («Molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale») è possibile una revisione di alcune misure assistenziali, come ad esempio il reddito di cittadinanza, per contribuire fattivamente alla lotta contro la povertà partendo dalla famiglia e dal suo rilancio (cercando di tenere sempre al centro la necessità di favorire il lavoro, anche come primario fattore di sviluppo umano e dignità, come dirò in seguito). Possiamo pensare ad altri esempi: forse per evitare di sperperare le risorse del Recovery plan e seguendo la logica di creare meno bonus strutturando maggiormente le politiche familiari si potrebbe pensare alla riduzione degli 80 euro (con un costo di 10 miliardi l’anno), che hanno sicuramente avuto degli effetti positivi ma minori rispetto a quelli previsti, come dice il rapporto Istat 2017: «Il bonus di 80 euro non è prioritariamente disegnato come misura anti-povertà. Per effetto dell’incapienza e della presenza di più lavoratori dipendenti nelle famiglie a reddito medio-alto, il bonus non risulta concentrato sui redditi più bassi. Sia la percentuale di famiglie beneficiarie, sia l’importo medio del beneficio nel quinto più povero sono inferiori rispetto a quelli dei quinti con redditi più elevati. Gli effetti maggiori in valore assoluto e come quota di beneficiari si registrano per le famiglie con redditi medio alti (nel penultimo quinto)».

Parlare di famiglia introduce la seconda voce, il lavoro, a sua volta collegato con il tema della povertà. Seguendo le indicazioni di Papa Francesco nel discorso finale del convegno di Assisi, dove chiede di smettere di pensare al Terzo Settore come a un erogatore di palliativi («Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale»), si può partire dal dato della realtà per sviluppare un’idea che già esiste. In primo luogo, numerose sono le associazioni che si occupano dei poveri, che cercano di sostenerli per quanto possono, che offrono ristoro e un posto dove dormire; pensando alla Caritas, realtà presente in tutta Italia, si potrebbe ipotizzare l’espansione del modello ambrosiano (il Fondo Famiglia Lavoro), coinvolgendo lo Stato e le imprese, per una cura delle persone povere nell’emergenza, offrendo sì ristoro, cibo e quant’altro, e creando allo stesso tempo processi per un reinserimento nella realtà lavorativa; in questo modo si supererebbero misure solo assistenziali che in un primo momento agiscono nell’emergenza, ma che poi non sempre favoriscono un superamento della stessa, puntando invece a creare un sistema che davvero (come prova l’esperienza milanese) sia in grado di ridare dignità alla persona.

Perché l’idea di un Fondo Famiglia Lavoro nazionale funzioni non basta solo la presenza dello Stato e la disponibilità della Caritas, ma serve appunto un terzo attore: il mondo imprenditoriale, che non può e non deve essere escluso, che va valorizzato e sostenuto, ma a cui va chiesto anche conto di agire con responsabilità ed equità.

Nota a margine: è evidente che quello fatto qui è solo un tentativo di tradurre in termini più concreti quello che è avvenuto ad Assisi, guardando alla realtà italiana. L’articolo non vuole avere la presunzione di avere tutte le risposte ai problemi né di aver dato l’unica strada percorribile, anzi, è palese la ristrettezza dell’analisi, dove non sono stati trattati volutamente, per motivi di spazio e tematici, i numeri, ma solo alcune aree tematiche d’intervento; si tratta solo, appunto, di un tentativo.

4 risposte a “Qualche spunto da ‘Economy of Francesco’: famiglia e terzo settore”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Sono rimasta senza parola leggere sul quotidiano che “Lamorgese:carta d’identità under 14 “tornano i genitore 1 e “genitore2” sui moduli di iscrizione a scuola de bambini di oggi!!!?. Ma di cosa dovrebbero vergognarsi chi ha un padre e una madre? Ma c’è tutta la storia umana in questa unione uomo donna,una unione che è naturale, vera, senza storture, umana, civile! Ci sono le generazioni cui fare riferimento per capire la propria storia, conoscerla, sapere da dove veniamo. Ci sono orfani, abbandonati che hanno sentito il bisogno di cercarla….Ma dove sta andando il nostro Paese, in che mani abbiamo riposto la nostra fiducia. Ma come permettere a una persona o più di toccare tanta corda sensibile del nostro privato, del nostro essere, come se non si esistesse a non deciderlo di persona!? Ma è cosa da portare l Presidente della Repubblica e a chiedere a ogni cittadino in persona prima di arrogarsi una tale decisione. Alziamo voce in merito

  2. Giuseppe Risi ha detto:

    … (segue) Sul fondo nazionale famiglia-lavoro (al quale contribuisco e di cui non posso che parlare bene), dobbiamo considerare che, in analoga forma, esiste a Milano dal 2009, ma con tutti i meriti che può avere, ha veicolato in 12 anni pochi milioni di euro. Dobbiamo essere coscienti che se la Chiesa si occupa solo di assistenza o di questioni economiche ad impatto assolutamente marginale tutti applaudono di certo, perchè nessuno si sente minacciato, ma sicuramente non avrà mai alcuna voce in capitolo sull’evoluzione sistemica dei processi economici, specie quelli planetari.

  3. Giuseppe Risi ha detto:

    … (segue) Sulla proposta di riforma fiscale, per quanto lodevole sarebbe concedere una maggiore considerazione al soggetto giuridico famiglia, non credo proprio che i relativi costi strutturali si possano far pesare sui fondi una tantum europei. Oltretutto, se è vera e non equilibrata la situazione attuale (molto meglio avere in famiglia due redditi da 40.000 euro che uno solo da 80.000) sarei prudente ad equiparare il tutto: il secondo lavoro in famiglia (statisticamente quello della donna) non va disincentivato con operazioni fiscali, anzi va promosso.

  4. Giuseppe Risi ha detto:

    Ho letto i punti finali dell’incontro Economy of Francesco: non mi entusiasmano, mi sembrano le solite dichiarazioni di principio dalle quali, vista la grande distanza con la realtà economica (buona o cattiva che sia) ben difficilmente potranno innescarsi processi di riforma concreti. Per la verità le medesime considerazioni le ho fatte anche leggendo la parte più socio-economica della Fratelli tutti. A meno che si punti ad una radicale rivoluzione (sostenuta da chi?), ma non si capisce poi quale dovrebbe essere l’approdo.
    In ogni caso, i due spunti dell’articolo (riforma fiscale finanziata con il recovery found e il fondo famiglia-lavoro milanese) mi sembrano piuttosto deboli…

Rispondi a Francesca Vittoria vicentini Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)