Opporsi alla morte… e all’oblio

Una breve storia narrata da Elie Wiesel ci spiega qual è il senso del fare memoria della Shoah
27 Gennaio 2022

Elie Wiesel, il grande scrittore di origine rumena sopravvissuto ad Auschwitz e Buchenwald, premio Nobel per la pace nel 1986, tra i tanti splendidi libri scritti, fu anche autore di Maestri e leggende del Talmud, un corposo volume in cui narra di alcuni saggi rabbini e del loro rapporto con il Talmud. Credo che nella chiusa del volume ci sia un breve racconto che possa spiegare uno dei motivi per cui è doveroso, anche oggi, nel 2022, fare memoria della Shoah:

Rav Ashì morì a 92 anni. Un mese prima, vide l’Angelo della morte, giunto a strapparlo dal mondo dei viventi.
«Dammi trenta giorni perché possa ripetere quello che ho appreso», gli chiese. Allora, si dice, l’Angelo della morte si allontanò.
Studiare significa opporsi alla morte.
E a ciò che è ben peggiore della morte: l’oblio.

È una delle tante ‘storie-perla’ della tradizione ebraica, che mi è particolarmente cara per quel senso di umana sapienza e passione per lo studio che racchiude, sempre interpellando, implicitamente, il lettore.
Con poche parole, è spiegato il senso del ‘fare memoria’, del leggere, dello studiare, del ricercare: sono azioni che si oppongono alla morte e all’oblio, il quale è una forma ancora più grave di morte, poiché sradica affetti e identità, cancella la vita e la sua eco, che generalmente le sopravvive. Così, in questa ottica, è possibile allora sostare ancora sulla grande tragedia dei campi di sterminio: combattere l’oblio, far sopravvivere l’eco di esistenze strappate e rese cenere. «Studiare significa opporsi alla morte», significa non arrendersi all’Angelo della morte, significa onorare chi è stato annientato dal male senza concedere spazio alla dimenticanza.

Tra le innumerevoli vite falciate, anche quella del padre di Wiesel, come egli racconta nello stesso libro, partendo dalla vicenda di rabbì Shim’on e del figlio El’azar, costretti a stare nascosti per molti anni in una grotta, per non cadere nelle mani dei soldati romani.

Io penso a loro perché penso a mio padre. Mi ricordo di un tempo in cui ero con mio padre, lontano dalla nostra casa. Non eravamo soli eppure lo eravamo.
E perché eravamo soli, più che mai ci avvicinammo l’uno all’altro, più e meglio di un tempo. Prima lo avevo visto raramente. Era troppo occupato in negozio o nel consiglio della comunità; lo vedevo solo durante lo Shabbat. Ora, invece, eravamo sempre insieme. Al lavoro, nella baracca. E finalmente potevamo parlare e parlare.
Lui solo contava per me; e io ero per lui tutto quello che contava. La mia vita dipendeva dalla sua. Io vivevo perché lui non morisse.
Ma, contrariamente a rabbì Shim’on e a suo figlio, io ho lasciato la grotta da solo.

Ricordare che pochi hanno lasciato la grotta dello sterminio: questo è opporsi alla seconda morte delle vittime. Tra di esse, Shlomo Wiesel.

2 risposte a “Opporsi alla morte… e all’oblio”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Certamente per un comune cristiano viene di pensare che la risposta a un simile olocausto di vite umane se da vittime o carnefici, per solo trovare la forza di vita interiore e a rialzarsi sia sostenersi al vincast Gesù Cristo, provvidenziale aiuto mandato dal Padre. Lui era morto ma è il Risorto! Per un comune visitatore al Museo della Shoah,Yad Vashem, quando esce crede di essere stato in un inferno di crudeltà, stanno lì tante persone il cui grido risuona e raggiunge il cuore. L’incredibile è impossibile a credere possa essere accaduto, sta lì e ci guarda; non si può negare, il dolore è scritto a mano, calligrafie distinte, dagli oggetti, volti…..proferire preghiera?ma strano, non vengono le parole eppure solita, Inutili i tentativi, . Fuori c’è il sole caldo, la vita. Riflettendo, tentò una ragione plausibile, forse in quel l’inferno di male, Dio non può essere li, come al Calvario del Figlio suo, ma piange

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Da Quanto dai reduci della Shoah, (pochi) tornati a vita normale viene raccontato e scritto e quali prove disumane Hanno dovuto subire, da una bestiale cieca volontà di uomini, ecco che si comprende perché anche loro i tornati vivi abbiano subito la morte se non del corpo nell’animo, e come bruci sempre il marchio di tanta sofferenza patita, non superabile. Non basti dedicare “un giorno alla memoria”. Le diversità le intolleranze, esistono anche oggi di una violenza che emerge latente, tracotante e cieca nei confronti di chi è più debole. La morte sembra trovare strade diverse più di quelle per la vita! Ecco il dovere di osare con la Parola più efficace e la saggezza che in essa fa luce, per dare aiuto e supporto a chi è di ogni caso la vittima

Rispondi a Francesca Vittoria vicentini Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)