Migranti, le buone e le cattive notizie

Dal rapporto del Centro Astalli emerge che abbiamo sì meno immigrati che arrivano, ma li lasciamo per strada e li condanniamo alla precarietà
12 Aprile 2018

Nel 2017 il numero dei migranti arrivati in Italia è molto diminuito (meno di 120mila, rispetto ai 181mila dell’anno precedente). Non si tratta però di una buona notizia, per almeno due motivi. Il primo è che le condizioni nei Paesi da cui queste persone fuggono non sono migliorate, e quindi il numero di coloro che vogliono mettersi in salvo o cercare condizioni di vita dignitose non è diminuito: semplicemente, è diventato più difficile arrivare in Europa. Il secondo è che quelli che ce la fanno vivono nel nostro Paese in condizioni di maggiore precarietà e povertà: cioè sono meno, ma più emarginati.

Ogni anno il Centro Astalli pubblica un Rapporto annuale, che contiene un po’ di buone notizie, ma anche molti problemi e interrogativi alla nostra società, che è pur sempre – checché se ne dica – la società di uno dei dieci Paesi più ricchi al mondo.

Le buone notizie stanno in quello che il Centro Astalli riesce  fare. Le otto associazioni della rete del servizio dei Gesuiti per i rifugiati, nel 2017 hanno servito 30mila utenti e ne hanno accolti 1.089 nei Centri di accoglienza (solo a Roma 255 nei Centri SPRAR e 161 nelle comunità di ospitalità).

È una buona notizia anche il fatto che tutto questo è stato possibile anche grazie ai quasi 700 volontari, che hanno affiancato un centinaio di operatori, e ai donatori che hanno sostenuto i costi: solo a Roma 3.200.000 euro, di cui un quarto donati dai privati. Volontari e donatori generosi, quindi, che hanno sfidato un’opinione pubblica, che tende e criminalizzare gli immigrati e a colpevolizzare chi cerca di sostenerli e di  riconoscere i loro diritti.

E qui arriviamo ai punti dolenti del Rapporto del Centro Astalli. Il fatto, per esempio, che diminuisca il numero dei migranti, ma non quello di chi si rivolge alle sue strutture: segno che qualcosa non funziona nel sistema di accoglienza. Qualcosa o meglio tanto: è recentissima la denuncia, fatta da Asgi, Cild e Indie Watch, sulle condizioni nell’hot spot di Lampedusa: un luogo che per legge dovrebbe ospitare le persone che sbarcano solo per il tempo necessario per identificarle e smistarle – massimo 48 ore – e dove invece restano recluse per mesi, dove si può restare di notte senz’acqua, dove c’è promiscuità tra bambini e adulti, le persone in condizione di fragilità sono abbandonate a se stesse, ci sono tentativi di suicidi, casi di autolesionismo e  segni di percosse.

Al di là di queste situazioni limite, comunque, è una burocrazia cieca e inappellabile, che espelle le persone o impedisce loro di entrare nei circuiti dell’accoglienza. Il resto lo fa un’Europa sempre più chiusa – si veda quello che succede giornalmente alle frontiere con la Francia o con l’Austria – e un’Italia sempre più egoista, nonostante la denatalità e gli altri problemi che dovrebbero spingerla a considerare una risorsa un fenomeno migratorio con numeri così limitati.

Il risultato è che abbiamo sì meno immigrati che arrivano, ma li lasciamo per strada e li condanniamo alla precarietà, senza dare loro opportunità di conquistare autonomia – che vuol dire lavoro e casa – e di integrarsi.

La proposta del centro Astalli, che da sempre lavora secondo un modello di accoglienza diffusa, è chiara: «nel 2017 abbiamo lavorato intensamente per abbattere muri e costruire ponti, soprattutto dal punto di vista della sensibilizzazione, per uscire dalla dicotomia noi-loro ed essere sempre più una comunità solidale», ha detto padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, durante la presentazione del rapporto.

Per questo, nel corso di un anno scolastico, il centro ha incontrato più di 28mila studenti. Per questo ha coinvolto ordini religiosi, famiglie, volontari nei percorsi di accoglienza e integrazione. Per questo continua a ricordarci che «non siamo dei poveracci che aiutano dei poveri, siamo uomini e donne con senso di responsabilità civile che non vogliono smarrire il proprio senso di umanità, perché credono nella dignità della persona e si impegnano a restituirla a coloro ai quali è stata tolta, con solidarietà, secondo il sentire della nostra Costituzione».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)