Ma l’America è lontana…

Ma l'America è lontana...
21 Giugno 2018

Stavo distrattamente cucinandomi qualcosa per la cena. Forse è proprio quando siamo distratti che le cose inattese e insperate ci possono arrivare più facilmente. E così è stato.

Studio aperto, edizione del 20 giugno, ore 18,30. Sta andando un servizio sull’orrore che si sta consumando al confine tra Messico e Usa, dove circa duemila bambini sono stati strappati a forza dai genitori entrati illegalmente in Usa dal Messico e poi rinchiusi e trattenuti in gabbie metalliche nei campi di detenzione che qualcuno ha accostato ai lager hitleriani. Purtroppo la notizia già in precedenza mi aveva raggiunto e avevo dovuto costatare che non era una “balla” mediatica.

Ma la giornalista continua. E racconta di come una coppia di ex dipendenti di Facebook, Charlotte e Dave Willner, davanti a questo orrore decide di non far finta di nulla. Apre una sottoscrizione sul social, nella speranza di arrivare almeno a 1500 dollari, per poter pagare la cauzione per almeno un genitore detenuto, e far sì che possa ricongiungersi con i propri figli. Ma quello che accade ci ricorda che siamo esseri umani, non ingranaggi di un sistema tecnocratico post umano o belve reattive in preda ad una paura isterica collettiva.

Già in precedenza molte voci, dentro e fuori l’America, si sono levate contro la linea dura di Trump e la sua decisione muscolare della tolleranza zero contro gli immigrati clandestini. La stessa first lady americana tuona: “Crudele strappare i bambini agli immigrati clandestini”. E quasi due terzi degli elettori repubblicani la disapprovano, portando il consenso per il presidente su questa questione al più basso livello di sempre. Poi si è aggiunto l’Unicef (“straziante”), mentre anche Rosalynn Carter si è unita al coro delle ultime ex first lady per condannare una politica “scandalosa”. Persino un gruppo bipartisan di oltre 70 ex procuratori Usa, “orripilanti dalle immagini e dalle storie” dei bambini separati, ha lanciato un appello perché si faccia un passo indietro. Critiche anche dalla Silicon Valley, dal ceo di Apple Tim Cook (politica “disumana”) da Mark Zuckerberg, che sembra abbia contribuito alla raccolta fondi in modo sostanzioso.

Infatti, In cinque giorni la sottoscrizione raggiunge quota 8 milioni e 2 cento mila dollari. Costringendo di fatto Trump a firmare un ordine esecutivo di ricongiungimento delle famiglie dei clandestini, cosa che sta avvenendo mentre scrivo, perché i fondi raccolti avrebbero permesso di rendere inefficace il suo provvedimento in modo radicale. E domani il congresso verrà chiamato a trasformare questo decreto in legge a tutti gli effetti. Almeno così dichiara M. Luisa Rossi Howkins di Studio Aperto.

Mi sono chiesto, quanto è lontana l’America? Dall’Italia dico, dall’Italia di Salvini e Di Maio. E non lo chiedo tanto per cercare di mostrare che i nostri apparenti “politici” siano meglio di Trump. Lo dico invece pensando a come la società italiana, e in particolare, in essa i cattolici, possano o no muoversi e invalidare le idiozie che in questi giorni si sono paventate possano diventare leggi nel nostro paese, in tema di immigrati. Quanto si raccoglierebbe in Italia? Quanti cattolici prenderebbero l’iniziativa per promuovere iniziative simili? Ecco, credo che l’America sia molto lontana in questo senso. Ci siamo mossi molto e bene per gli ultimi terremoti, nel raccogliere fondi e nel dare soccorso. Ma poi si scopre che buona parte di quei fondi non sono andati a destinazione o sono stati erogati secondo criteri assolutamente clientelari e tipicamente mafiosi. E quelli erano morti nostrani!! Figuriamoci se dobbiamo preoccuparci di rendere più umana e possibile l’accoglienza degli immigrati!

Sarà che non abbiamo ancora avuto abbastanza stimoli emotivi forti, tali da farci sentire il groppo in gola per gli immigrati, soprattutto per quelli “economici”, e così lasciamo le nostre coscienza nella palude delle giuste motivazioni, anche teologiche, per difenderci. Sarà che siamo così terribilmente preoccupati di perdere quel centimetro di spazio economico, sociale, lavorativo, culturale, che difendiamo coi denti e con le unghie, che non ci passa nemmeno per la testa di accettare una riduzione del nostro “benessere”, per la sopravvivenza o il miglioramento delle vita di altri.

Eppure la questione è proprio questa: sicurezza sociale e identità culturale, in cambio di benessere. Non lo vogliamo credere, ma la realtà non cambia. E quando avremo garantito le nostre chiese, le nostre teologie, le nostre case, i nostri conventi, i nostri appartamenti sfitti, le nostre seconde case, il nostro lavoro dove rubiamo la fisco, o quello precario, a gettone, a termine, in nero, finalmente potremo sentirci tranquilli. Ci guarderemo alle specchio e avremo il coraggio di dirci: “Era giusto! Ho fatto bene”. Sarà la prova più evidente che la nostra coscienza è stata tacitata, misconosciuta, ma non uccisa, e da dentro continuerà a chiederci ragione dell’esistenza e della vita del nostro fratello.

Forse non tutti gli americani che hanno sottoscritto la raccolta fondi l’avevano letta, ma l’hanno sicuramente vissuta, e hanno risposto di sì alla domanda. “Sono forse io il custode di mio fratello?”

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