Due fatti, due storie. Nella notte tra il 29 e il 30 luglio è stata uccisa, a Terno d’Isola (BG), Sharon Verzeni. Circa un mese dopo, il primo settembre, a Paderno Dugnano (MI), sono stati uccisi una coppia e il figlio dodicenne. Nel primo caso non è stato facile trovare l’autore del delitto, alla fine ha confessato Moussa Sangare, 31 anni, e il fatto è avvenuto apparentemente senza motivo: secondo la procuratrice capo di Bergamo, Cristina Rota, «non c’è nessun movente religioso, né terroristico. Non appartiene ad alcun movimento religioso. Poteva essere la signora Verzeni o uno di noi che passava di lì». Nel secondo caso ha confessato il figlio 17enne della coppia, che ha dichiarato «Non c’è un vero motivo per cui li ho uccisi. Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio».
In comune, questi due fatti di cronaca, hanno tre elementi: il dolore immenso che hanno provocato, l’apparente mancanza di movente da parte degli attori, l’ampio spazio mediatico che hanno occupato. Ma hanno anche una fondamentale differenza: Moussa Sangare è cittadino italiano, nato a Milano, ma da genitori con background migratorio. Il giovane 17enne di Paderno, che avrebbe ucciso il fratello, il padre e la madre, è italiano, di genitori italiani. Questo ha fatto sì che la notizia prendesse, su buon parte dei media, strade diverse: Sangare è diventato l’esempio dell’immigrato, che porta nel nostro Paese violenza e insicurezza, per cui quindi bisogna adottare la linea dura contro i migranti. Il ragazzo di Paderno è diventato un ragazzo fragile, espressione di una generazione difficile da capire, da ascoltare.
In entrambi i casi, ci sono i segni evidenti di un forte disagio psichico (Sangare, tra l’altro, era stato denunciato tre volte, per la sua violenza, dalla madre e dalla sorella) e sociale, disagio la cui analisi e diagnosi va fatta dagli esperti. Il dibattito, dunque, avrebbe dovuto ruotare attorno al tema: riusciamo oggi a curare le persone fragili o che soffrono di disagi o malattie mentali? Di che cosa hanno bisogno per poter intraprendere un percorso di cura
Invece, nel caso di Sangare, il “dibattito” non c’è proprio stato: la linea l’ha dettata – guarda caso – Matteo Salvini, che sui social ha scritto, prima ancora che lui confessasse, di un giovane di «origini nordafricane e cittadinanza italiana, sospettato di aver assassinato la povera Sharon. Spero venga fatta chiarezza il prima possibile e, in caso di colpevolezza, pena esemplare, senza sconti. Complimenti ai Carabinieri!». Che cosa significa pena esemplare? Una pena più forte? Se non avesse avuto “origini” nordafricane la pena avrebbe potuto godere di sconti? La pena non dovrebbe avere carattere rieducativo? La giustizia non dovrebbe essere uguale per tutti?
Laura Ravetto, deputata della Lega e responsabile del dipartimento Pari opportunità del partito, ha rincarato la dose, chiedendo: «Un episodio tragico che devi farci riflettere. Davvero sono questi i nuovi italiani a cui aspiriamo?». Come se non bastasse, il primo settembre Salvini ha puntualizzato: «Non fatelo passare per “matto”, questo è solo un crudele assassino che merita il carcere a vita».
Così, dettata la linea, una parte del mondo dell’informazione e della comunicazione sui social si sono scatenate, ancora una volta, contro l’immigrazione.
Al caso di Sharon Verzeni, Liberoquotidiano.it in due giorni (30 e 31 luglio), ha dedicato ben 27 pezzi, dal 30 luglio al 3 settembre ne ha pubblicati 137: era un’occasione davvero tanto ghiotta per dare addosso ai migranti, contestare le politiche migratorie dei precedenti governi e accusare le sinistre. Basti leggere un titolo del 1 settembre: «”Sangare è pazzo”, l’incredibile sfregio. Sharon: imbarazzo rosso, è psico-soccorso al killer». Cioè, se leggi questa tragedia in chiave di salute mentale, stai psico-soccorrendo un assassino. E non poteva mancare l’attacco alle femministe: «Sharon, se l’uomo bianco non c’entra le femministe restano in vacanza: la reazione imbarazzante» (titolo del 3 settembre).
Sulla stessa linea Roberto Ardittti, sul Tempo.it, che il 31 agosto scrive: «l’Italia è piena di balordi, la gran parte dei quali sono immigrati illegali o cittadini italiani con origine familiare in Nordafrica o Medioriente. È sgradevole metterla in questi termini? Contrasta con un sentimento, tanto nobile quanto approssimativo, di negare le differenze a tutti i costi? Contraddice la tendenza dilagante ad usare lo strumento del politicamente corretto per descrivere tutto ciò che accade intorno a noi, in particolare quando è sgradevole o, addirittura, delittuoso? Certo che sì».
Sono solo esempi: basta fare un giro sul web per vedere titoli e articoli che vanno in questa direzione, confermando ancora una volta che l’informazione discrimina, e anche duramente.
Eppure, sulla strage di Paderno Iltempo.it ha pubblicato un pezzo intitolato “Il disagio dei giovani troppo spesso è sottovalutato”: se l’assassino è straniero (o non lo è, ma si può giocare sulla sua identità) è un balordo delinquente; se è italiano è una persona che soffre per un disagio, oltretutto almeno in parte generazionale.
Su Paderno, Salvini non si è espresso. Eppure il fatto non è meno grave dell’altro. La notizia è più recente e dunque il dibattito è appena iniziato e per ora ha preso la piega dell’analisi e diagnosi di un disagio mentale, ma anche di una generazione difficilmente decifrabile, così descritta dalla pm della Procura della Repubblica per i minorenni, Sabrina Ditaranto, durante una conferenza stampa al Comando provinciale dei Carabinieri sulla strage famigliare: «Osservo che i giovani manifestano spesso un malessere importante soprattutto negli aspetti che riguardano la socialità, c’è un aumento».
A chi ha la pellebianca spettano le analisi e i dibattiti, a chi ha la pelle colorata spettano solo pene esemplari. E anche l’essere “matti” è un privilegio riservato gli italiani.
Si può anche tradurre che avendo già tanti malati in casa diventa un problema averne altri da fuori visto che le carceri sono nel peggior stato immaginabile. Il Paese Italia ha da rendere conto all’Europa di conti che non tornano con disagi derivati da cambiamenti climatici non di facile soluzione, sono molte le cause che sconvolgono un vivere sereno della popolazione e c’è ribellione nelle fasce più sofferenti di povertà anche da malattia. Anche l’ospedale da campo che è diventata la Chiesa non sembra avere possibilità illimitate. E bisogna pur avere il coraggio di ammettere che molti mali derivano da una mancanza di Fede in quelle dieci Parole fondamentali a indicare all’uomo vie sicure e valori indispensabili a creare bene comune, fratellanza, umanità nella diversità.