Le storie dei guariti

Chi è stato in terapia intensiva restituisce racconti profondi, quasi degli ex voto, con note sorprendenti
21 Maggio 2020

“Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita.”. Così papa Francesco nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali del 24 maggio  invita a valorizzare le storie delle persone. E numerosi ritratti delle vittime della pandemia – un’antologia di Spoon River di questi mesi –   sono stati ricostruiti dai giornali, ma ci sono anche vite ancora…vive. Contagiati usciti  dalla terapia intensiva stanno restituendo sui media locali racconti molto significativi che possiamo cominciare a sedimentare. Dal pensionato all’amministratore delegato, dal vescovo al medico, queste voci esprimono una riconoscenza incontenibile. Quasi degli ex voto moderni, tutti diversi fra loro, ispirati da una riflessione lenta  e profonda sulla propria fede.

Emergono molti tratti comuni, a partire dalla diagnosi che ti sorprende completamente impreparato, come un ladro nella notte.  “Non avrei mai pensato che quel virus lontano sarebbe entrato dentro di me: è stata una brutta botta”.

E, subito dopo, l’ingresso nel tunnel della terapia intensiva: “Nonostante la possibilità di scrivere messaggi a casa – ci ha confidato Giorgio Franceschi, manager di una finanziaria –  ad un certo momento ti trovi solo con te stesso, con le tue paure e le tue domande. Se ci penso, quello che più mi ha aiutato in quella fase è stato mettermi completamente nelle mani del Signore. Mi sono deciso di affidarmi completamente a Lui e devo dire che da quel momento ho provato una serenità totale, di fondo, che mi ha accompagnato”.

Nei reparti intensivi si è avvertita  la compagnia, quasi una complicità solidale e dialogante anche nel silenzio, con quanti si trovano nella stessa stanza. Ha scritto  nel suo diario dall’ospedale il parroco biblista don Piero Rattin: “Da degente condivido, con chi crede e con chi non crede, lo sgomento di sentirmi giocato da una potenza avversa e incontrollabile, la sensazione di una foglia secca alla mercé d’una tormenta che nessuno sa quando finirà. Sì, esperienze in tal senso si fanno anche in tempi normali, ma ora è diverso: ora è all’interno della convivenza civile che se ne percepisce la drammatica eventualità. E in termini di realismo tutt’altro che ipotetico. Questa sensazione di invincibile abbandono accomuna molti individui in questi giorni e io, credente, non trovo affatto strano doverla sperimentare con chi non ha la mia stessa fede: dopo tanti “distinguo” in tempi non sospetti, è ora di riconoscere che una stessa percezione del limite è credenziale irrinunciabile se intendiamo considerarci ancora, e a prescindere da ogni altra aggiunta, “umani”.

Il massimo comune denominatore dei racconti dei guariti è l’ammirazione per infermieri e medici, per i loro piccoli gesti di grande attenzione: “Ringrazio tutto il personale ospedaliero che è stato fantastico – riflette Achille Serra, 61 anni, ricercatore storico in val di Sole, ricordando i nomi scritti sulle tute bianche  – in particolare ringrazio le infermiere: Cristina, Mara, Genny, Nicoletta, Valeria e Irina. E’ forte il ricordo delle parole del dottore a tutti i suoi collaboratori: ‘Ragazzi, siete la mia gioia’”.

In quelle giornate interminabili, quando si fissano i valori del saturimetro e si ascolta il proprio respiro per prevenire l’affanno, molti hanno avvertito il sostegno spirituale di amici e conoscenti, di un’intera comunità. In alcuni casi raccontano di aver goduto  di un’immagine a metà tra visione e consapevolezza, come  quella che Giacomo Radoani, ex libraio di Condino, riferisce nel risveglio dopo la sedazione di dieci giorni: «Ho avuto nettissima la sensazione/visione di una folla di persone (tutti i miei familiari, tutto il paese di Condino, amici dei vari gruppi e associazioni a cui sono vicino, anche di Trento…) che, unita e compatta come una falange, pregava, invocava, reclamava in certo senso spingendo lontano sorella morte. E’ un’immagine difficile da descrivere ma che mi ha dato una forza incredibile: in quel momento ho pianto di gioia e di commozione: ho intuito che potevo farcela».

Questa sensazione spirituale di essere sostenuto dalla preghiera degli altri si ritrova forte anche nel racconto già raccontato qui su vinonuovo, quello del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero: “Io non potevo vederla ma sentivo una catena che mi teneva su e in pace. Penso che insieme alla bravura dei dottori, la preghiera un po’ di miracolo l’abbia strappato».

E ancora i consigli ai parenti di  quanti si trovano ancora sulla soglia del dolore e dei loro parenti (“non perdere mai la fiducia e la speranza –  raccomanda Giacomo Radoani  – non lasciarsi mai sopraffare dalla depressione e dalla disperazione) e l’acquisizione di dover tornare alla vita con uno sguardo completamente nuovo: “Per me, ma penso per tutti, dovranno cambiare molte cose – conclude Giorgio Franceschi – . Pensavamo di essere invincibili e invece abbiamo fatto i conti con la nostra fragilità. L’incertezza ci porterà a ripensare alle cose essenziali della vita, a rivedere quella gerarchia di valori che era forse sbagliata. Direi un ultimo aspetto-chiave: dovremo scoprire un nuovo senso del limite, perché stavamo andando oltre. Dobbiamo riflettere anche per trovare nuovi modelli di sviluppo e di convivenza, anche a livello globale”.

Altre storie possono essere condivise e segnalate anche nei commenti a questa sommaria ricognizione locale.

2 risposte a “Le storie dei guariti”

  1. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Quando in famiglia abbiamo saputo che il nostro medico era grave all’ospedale, viva costernazione da parte di tutti, era il giorno di marzo che Papà Francesco ha fatto il pellegrinaggio in solitaria, insieme abbiamo recitato la “corona” mai stata collettiva e più intensa per una persona che lavora con cuore e sentimento. L’abbiamo seguito con trepidazione fino a quando non ci hanno comunicato che stava uscendo dallo stato di gravità. Inconsapevoli medici !!solo il suo sesto senso lo ha mosso a farsi ricoverare appena in tempo, quando nessuno era stato preavvertito; anche tutta la sua famiglia ne è stata contagiata. Questo mi induce a sollecitare da parte degli Organi competenti, che si rimedi a errori, la vita è preziosa e non è giusto che non vi sia adeguata cura costi in denaro quello che EU mette a disposizione,e che si distribuisca un solo pane ma a nessuno manchi e nessuno muoia

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