La scomparsa degli insegnanti

Dal dibattito pubblico ai media alla politica: molti parlano di scuola, mai però si ascolta chi la scuola, da adulto, la frequenta ogni giorno. Un fenomeno che dura ormai da troppi anni.
10 Dicembre 2021

Oggi è stato indetto, da numerose organizzazioni sindacali, uno sciopero del comparto ‘scuola e ricerca’. Non voglio entrare qui nel merito delle rivendicazioni (dirò subito che le trovo condivisibili in buona parte), non essendo questo lo spazio adatto (in Internet ci sono molti materiali a riguardo).
Quello che mi preme mettere sotto la lente d’ingrandimento è un fenomeno che ormai è così diffuso da non destare quasi più meraviglia, se non negli addetti ai lavori, ossia la scomparsa dell’insegnante dal dibattito pubblico: questo è un fenomeno che viene da lontano, presente anche nei mesi in cui, soprattutto per la DAD (didattica a distanza: serve un glossario di sigle per orientarsi nella scuola), l’istruzione è tornata a interessare l’opinione pubblica.

In pubblico, di scuola parlano tutti, tranne che gli insegnanti. Parlano i genitori, che vedono i figli all’ingresso delle aule e hanno in mente la scuola frequentata decenni fa.
Parlano politici dalla memoria cortissima e dalla facile autoassoluzione, tutti disposti a dispensare ricette e riforme, nonostante il settore dell’istruzione sia stato letteralmente sfibrato da 7 riforme in 20 anni (evidentemente una peggiore dell’altra, se sono necessari continui interventi: mai però si ascoltano mea culpa, sempre ci tocca sentire soluzioni).
Parlano giornalisti di varia preparazione, sempre alla ricerca della notizia (in ordine: qualche caso legato all’abbigliamento, al carico di compiti, ai risultati di rilevazioni nazionali o internazionali).
Parlano poi i dirigenti, ormai costretti a gestire più istituti di vario ordine e grado (e non si sa bene quando hanno il tempo per concedersi di conoscere studenti e insegnanti, oberati da burocrazia e altri adempimenti).
Parlano poi gli specialisti: non c’è argomento che latamente interessi l’istruzione che non veda l’intervento (o l’intervista) dello psicologo, dello psichiatra, del pedagogista, del logopedista, del sociologo, del medico, dell’architetto di turno, tutti assai pronti nel criticare la scuola di oggi per svariati motivi e nel dispensare consigli di natura non solo educativa ma anche didattica (l’invasione degli specialisti è ormai un fenomeno anche nei corridoi), dal baricentro dei propri studi settoriali, delle proprie specifiche competenze, dei propri libri, delle proprie appartenenze, senza ovviamente mai aver gestito per un intero anno scolastico una classe di trenta studenti.
Infine, ultimo ma non ultimo, arriva lo studente: una lettera qui, un questionario là, un’intervista sui media, per dare spazio a quello che gli studenti dicono e vogliono a scuola (almeno in questo caso abbiamo persone che, con gradi di maturità diversa, vivono davvero il mondo scolastico).

Chi manca? Manca proprio l’insegnante, ovvero la truppa che sta ogni mattina a contatto con la carne viva dell’istruzione, della formazione, dell’educazione; che conosce risorse e contraddizioni di un sistema di cui tutti parlano sapendo poco, che si arrabatta tra ondate di burocrazia (non certo diminuita), mole di lavoro cresciuta a dismisura negli ultimi anni (basti pensare alle gestione dei casi BES e DSA, al numero sempre elevato di studenti per classe, all’educazione civica, alla moltiplicazione dei corsi di aggiornamento visti quasi come una punizione per la loro evanescenza, alle riunioni ogni anno più frequenti, agli incontri con genitori e specialisti a ogni momento della settimana, alle gestione delle numerose altre educazioni – alimentare, sessuale, stradale, digitale – ), discredito sociale (la famosa leggenda del “lavori mezza giornata-hai tre mesi di ferie” che fa il paio con le sparate regolari del ministro di turno sui docenti da premiare per la dedizione), salario infimo (non solo a livello europeo, ma anche a paragone di altri impieghi del settore pubblico, a parità di titolo), reclutamento labirintico (ogni legislatura che si rispetti vede almeno uno o due percorsi di assunzione, non poco contradditori tra loro, andando dai durissimi concorsoni alle sanatorie). Senza contare lo stato degli edifici scolastici nel nostro paese, ambiente di lavoro non sempre a norma di legge.

In tutto ciò, non esiste più una vera e diffusa consapevolezza della specifica e insostituibile professionalità dell’insegnante, che è primariamente didattica. L’insegnante è l’esperto dell’insegnamento (ça va sans dire) , e la didattica è il suo particolare campo d’azione, e lì poi si innesta il discorso educativo, sempre più urgente. È l’insegnante che dovrebbe dispensare consigli agli specialisti sulla didattica, e non viceversa; è l’insegnante che dovrebbe in primo luogo parlare di scuola, perché ogni santo giorno entra in classe, con esperienza, competenza e anche con fatica.
Un paese che dimentica sistematicamente l’insegnante, come spera di attirare le migliori personalità disposte a mettersi in gioco nell’affascinante ma impegnativo campo della scuola?
Un paese che copre le proprie ampie lacune nel settore con la retorica dell’insegnamento come vocazione, per cui tutto deve essere accettato e digerito ‘per il bene degli studenti’, è consapevole del danno che compie, non dando un vero riconoscimento a una professione preziosa? Se non si comprende che, al pari di altri, anche l’insegnante è un ‘mestiere’, con doveri e diritti, con professionalità proprie e precise competenze (e conoscenze! Queste dimenticate), non si fa altro che procedere all’affondamento del settore.

Ma chi meglio degli insegnanti conosce le fragilità crescenti e le risorse delle generazioni di bambini e adolescenti? Chi meglio degli insegnanti vede i nodi, le esigenze, le contraddizioni, i disorientamenti delle famiglie? Chi meglio degli insegnanti può segnalare le miopie di un sistema che si vuole continuamente innovare per il gusto di farlo, lontano dal quotidiano (senza ogni volta sentir bollare come reazionario o conservatore un atteggiamento di critica e anche di opposizione ragionata)? Chi meglio degli insegnanti sperimenta i danni di un uso forsennato del digitale, a partire dai bambini che consumano ore sugli smartphone? E ancora: chi meglio degli insegnanti, disposti al dialogo e al confronto quotidiano, conosce i limiti della narrazione “lo studente al centro”, nella consapevolezza che talvolta l’adulto è chiamato responsabilmente a dire dei no, a dare delle regole, a non essere disponibile a facili concessioni, a indicare il modo di gestire la frustrazione, ma pure nella consapevolezza che questo slogan dello studente al centro è spesso un’etichetta sulla scatola vuota della realtà, che non è certo ‘a misura di giovane’ (poi qui le citazioni di don Milani piovono, quel don Milani così citato e così poco letto integralmente).

Certo, poi ci sono i docenti-indecenti, gli insegnanti poco capaci e problematici. Ma in quale ambito non esistono persone da accompagnare nella formazione ed eventualmente, se necessario, da estromettere dal settore? E tuttavia non bisognerà dimenticare i tanti bravi insegnanti che con passione, dedizione e competenza compiono il loro lavoro, pur nei limiti personali (che ci sono e ci saranno sempre).

L’oblio dell’insegnante è, credo, il sintomo più grave e meno evidente di come, in questo paese, l’istruzione, la formazione, lo studio, la cultura, la scienza, il sapere, l’educazione siano da almeno 25 anni sempre più bistrattati: basti osservare l’andamento dei finanziamenti al settore; basti toccare con mano il dramma degli studenti con disabilità, a cui mancano sistematicamente docenti di sostegno formati per quel delicatissimo compito; basti ascoltare la retorica di ogni ministro, che assai raramente si tramuta in leggi migliorative, retorica che non regge alla prova dei fatti. Basti vedere la fatica che, ogni anno di più, le scuole vivono nel trovare insegnanti (eloquente segno di una professione che non attrae più).
Basti, da ultimo, la totale assenza degli insegnanti in televisione, in radio, nei giornali, nelle statistiche, ossia in un dibattito pubblico.

L’ultima prova: pochi giorni fa è stato presentato il rapporto Censis sullo stato del paese. Ebbene, sul tema scuola sono stati intervistati 1600 dirigenti scolastici. Dunque i presidi, gestori della macchina dal punto di vista amministrativo e organizzativo. Chi manca? L’insegnante, ovviamente, cioè colui che si spende nella didattica. Che ha davanti volti e storie. Che ha allestito la DAD, che ha supportato e sopportato la didattica negli anni della pandemia, che ha inventato, ascoltato, pensato, operato (anche sbagliando). Dunque, un ente prestigioso come il Censis, sul tema scuola, intervista 1600 dirigenti, non 1600 insegnanti.

Ora arrivano per le scuole 17 miliardi dal PNNR: è prevista una forte torsione del sistema istruzione; ad esempio si parla, con stucchevoli anglismi da provincia italiana, di «trasformazione degli spazi scolastici affinché diventino connected learning environments adattabili, flessibili e digitali», senza che ci sia un vero confronto con quanti quegli spazi abitano; si legge di «processo di apprendimento orientato al lavoro», senza che gli insegnanti possano pubblicamente poter dire la loro ed essere ascoltati e incidere. Ma gli esempi possono essere molti. Dunque si finanziano cambiamenti sostanziali sulla testa di quanti lavorano quotidianamente nelle aule (che peraltro, pare, dovrebbero sparire), senza tener conto di questi stessi esperti della didattica. E senza che ci sia un vero e ampio dibattito nel paese (così come non c’è a livello parlamentare: anche questo è un precedente non incoraggiante). Bisognerà prima o poi fare i conti anche con questa sorta di ‘frustrazione’ del ruolo docente, altrimenti ogni riforma sarà solo vista come ‘punitiva’ (basti stare una mattina in una qualsiasi aula docenti di una scuola italiana per capire. Non parliamo poi del senso di smarrimento e vergogna degli insegnanti italiani a seguito degli scambi regolari che si effettuavano con altre scuole europee: se vogliamo adeguarci all’Europa, facciamo un giro davvero in Europa).

Giorgio Parisi, nel recente discorso di premiazione della medaglia Nobel, ha ricordato l’istituto di fisica che lo ha visto come ricercatore e docente e il suo maestro, Nicola Cabibbo, che gli ha trasmesso “conoscenze e amore per la scienza”.
Ministro Bianchi, che dice? Ascoltiamo anche gli insegnanti (con maggiore rispetto e disponibilità di quanto accaduto quest’estate alla Repubblica delle idee)?

6 risposte a “La scomparsa degli insegnanti”

  1. Angelo Nocilla ha detto:

    Interessate articolo, ma in realtà il problema del “dare voce” ormai è diffusissimo. E’ vero, gli insegnanti quelli delle trincee, che vivono i veri problemi nelle classi e fuori le classi, quelli non li ascolta nessuno. E’ logico e più semplice chiedere a 1600 dirigenti anziché a 1mln di insegnanti perché i primi dovrebbero aver chiaro il quadro delle criticità in cui lavorano i “colleghi” insegnanti, i secondi, invece, avrebbero tante di quelle cose da urlare che non basterebbe un’indagine censis. Le rappresentanze, anche queste, a volte, fuori dai contesti lavorativi veri e propri. Poi per ultimo i media. Tutti sanno tutto di tutto e di tutti, ma in realtà non si sa proprio nulla. Ci si fa paladini di categorie di cui si è sentito parlare e questo alimenta profondamente la rabbia e l’ignoranza. Il grosso problema di oggi: troppi avvocati senza essere avvocati e giudici senza conoscere realmente i fatti.

  2. Sergio Ventura ha detto:

    Concordo punto su punto!
    Mi permetto di ricordare una soluzione tecnica proposta qui più di un anno fa e rimasta, purtroppo, inascoltata https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/aascoltare-la-voce-degli-insegnanti-come/.
    Era stata elaborata (anche) alla luce di una concreta esperienza di non ascolto (narrata sempre qui https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/scuola-e-chiesa-mal-comune-e-mezzo-gaudio/).

    PS sulla discutibilità del merito e della meritocrazia bisognerebbe cominciare a leggere quanto finalmente viene pubblicato anche in Italia e, magari, ascoltare proprio gli insegnanti ‘meritevoli’: se ne sentirebbero delle belle…

  3. Giuseppe Risi ha detto:

    In gran parte condivisibile.
    Tuttavia, in Italia non esiste l'”insegnante” (da ascoltare, valorizzare, premiare…), ma 900.000 / 1 milione di insegnanti che, mi risulta, hanno spesso “remato contro” ogni riforma (o tentativo di) che, con tutti i limiti, cercava proprio di valorizzare/premiare il merito.
    So bene, per esperienza diretta con i miei figli, che nella scuola pubblica italiana ci sono tanti bravi insegnanti, ma spesso attorniati da tanti colleghi non proprio all’altezza del loro compito, ma sempre a parità di ruolo, responsabilità, autorità, stipendio…
    Se proprio gli insegnanti, con i loro sindacati, sono i primi sostenitori del conservatorismo egualitarista, non dobbiamo stupirci se la professione dell’insegnante è diventata per intere generazioni 8quindi da decenni) una soluzione lavorativa di puro ripiego (fatti salvi i pochi, lodevoli, missionari).

  4. lamberto maffei ha detto:

    Sono d’accordo e ho cercato di dirlo nelle occasioni che mi si offrivano.La scuola e gli insegnanti sono l’unica speranza di risorgimento morale del paese

  5. Paola Buscicchio ha detto:

    Nel campo della formazione i docenti devono essere come zone d’ombra dove sedersi al riparo del sole rovente.
    La luce accecante del sapere ha bisogno di mediatori che la filtrino sapientemente per questo vedo di buon auspicio la nascita di scuole di formazione all’insegnamento che valorizzino i talenti di ciascuno.
    Per chi affronta lunghi iter di studi sarebbe opportuno essere poi aiutato a concretizzarli in maniera intelligente.
    Alla crisi dell’insegnamento si devono dare risposte articolate e precise.

  6. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Ottimo e abbondante.
    Veramente completo.
    Da far cascare le braccia, togliere ogni speranza.
    Vorrei citare due punti:
    1) Sergio sta parlando del FUTURO dei ns figli/nipoti… Cosa esiste specie oggi più PRIORITARIO dell’educazione??
    2) verso il 1960 avevo fatto il giornale del Liceo. Dicevo +/- le stesse atroci critiche.
    Risultato? 5 gg di sospensione.
    PS. Non è vero che l’insegnamento OGGI non è più ambito. Ho 2 casi in famiglia, prima snobbato, oggi cercato e accettato, con tutti i probl che elenchi…
    Forse vuol dire che siamo messi proprio male??

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