Shalom Nagar, l’uomo che nel 1962 eseguì la condanna a morte di Adolf Eichmann, è morto la scorsa settimana in Israele all’età di 86 anni. Giovane guardia carceraria, Nagar ebbe la vita sconvolta quando fu estratto a sorte come boia e gli toccò di premere il pulsante per l’impiccagione di Eichmann, l’ideatore delle camere a gas e della soluzione finale di milioni d’ebrei nei lager tedeschi. Colpisce molto la sua testimonianza nelle pagine del libro Jerusalem Suite di Francesco Battistini, edito per Neri Pozza e uscito da poco. Nel testo dice di essere stato scelto “Perché non avevo la sete di vendetta degli altri. Io sono uno yemenita, mentre la Shoah è una cosa che ha colpito soprattutto gli ebrei europei. All’inizio, Eichmann, io non sapevo nemmeno chi fosse. L’avevo scoperto solo dopo. Un giorno il comandante venne da me, si chiamava Merhavi, e mi chiese: “Shalom, ti va di schiacciare il bottone?”. Credeva di farmi un grande onore. In fondo nelle Scritture è questo il più grande dei comandamenti: “Cancella la memoria di Amalek”, il nemico degli israeliti, e di chi vuole sterminare gli ebrei… Però io dissi che no, non volevo. C’era qualcuno che se la sentiva, altroché. Io invece ero l’unico secondino che diceva di non volerlo schiacciare, quel bottone. Tirarono a sorte. E il comandante mi disse: “È un ordine. La sorte ha detto che tocca a te. Lo farai tu”.
Shalom aveva 26 anni quando uccide Eichmann e inizia a vivere un dramma di coscienza che durerà tutta la sua vita: la compassione per i suoi nemici e la banalità del male, che non si trova nei reportage di Hannah Arendt, ma che può essere trovata ovunque, anche oggi tra guerre considerate “giuste” e guerre “sbagliate” dimenticando la radice malata di entrambe. Nagar ci testimonia che dall’ascolto della profondità dell’umano riecheggia l’eco genesiaco di quella domanda ancestrale che chiede conto della morte del proprio simile: Caino, dov’è tuo fratello? (Gen 4,9) riconsegnando all’uomo il suo rapporto originario con il proprio simile che è quello di fratello. Ogni omicidio è sempre un fratricidio. Non si può scindere la dignità personale da quella dell’altro.
Nella storia di Nagar emerge anche ciò che Giovanni Paolo II aveva definito come “sistema di peccato” quelle realtà dove, volente o nolente, collabori a una scia di peccato e di male perché inserito come anello di una catena di morte. Lo sono le fabbriche di armi, possono diveltarle tutte quelle realtà – anche apparentemente pacifiche – dove si è ostinatamente contro la vita propria e degli altri. Schalom in un passaggio della sua testimonianza dice: “Io avevo pietà dei miei carcerati, anche se erano terroristi. Gli arabi sono stati creati pure loro a somiglianza di Dio. Sono un popolo, hanno un’anima. Proprio come noi. E la legge ebraica dice che non devi uccidere. Non dice: non devi uccidere Mosè o Maometto. Dice che non devi uccidere. E basta”. Ecco la testimonianza estrema e drammatica di chi ha ucciso per “mestiere”, ma che è rimasto uomo allontanandosi piano piano da quel mondo fatto solo di odio. Cosa rimane dell’uomo quando la dignità dell’uomo è svenduta per qualche manciata di kilometri di territorio, come nel caso del conflitto in Ucraina? Cosa rimane ancora dell’umanità quando la scena politica si divide con parole da striscioni da stadio e blocca le manifestazioni a favore della Palestina perché schierati politicamente pro Israele?
La pietà di Nagar ci ricorda la pietas secondo la sensibilità greca, qualità che Virgilio sceglie di attribuire all’eroe Enea, e questa lo è per ogni uomo e non solo per gli amici. Il personaggio della mitologia greca rappresenta un nuovo tipo di eroe: le scelte che è costretto a compiere lo trasformano in un nuovo tipo di eroe, che sceglie la fuga senza più sentirla come una viltà, ma come una dolorosa necessità imposta dal fato, in previsione di un futuro per il suo popolo. Dinanzi al bene del popolo e dinanzi ad un esercito più potente, il vero leader fa un passo indietro. E questo per salvare il proprio popolo. Lezione antica e scomoda politicamente, ma che richiama il bene supremo della vita che mai può essere barattata, neanche per un ipotetico e legittimo bene superiore. Anche la fuga e il conseguente esilio vengono vissuti da Enea con pietà e per amore del proprio popolo. La pietas è anche per i vinti, fenomeno poco presente nei poemi epici. Sotto quest’aspetto l’Eneide rappresenta un’eccezione: Enea prova compassione per gli uomini che uccide proprio come Shalom Nagar. I due personaggi lontani millenni hanno entrambi una profonda umanità che li spinge ad esitare davanti a un gesto crudele e a soffrire tanto quanto le vittime di tali gesti: esempi sono le vicende di Lauso e Pallante, di Eurialo e di Niso per Enea e l’uccisione di Adolf Eichmann per Nagar.
Dov’è finita la nostra pietà? Dai commenti sui social pieni di odio e livore alle trasmissioni televisive dove l’opinione, non accettando il confronto con la complessa realtà, assurge a dogma (è stato creato anche il termine e il mestiere di opinionista), dai giochi della playstation, dove vince chi sconfigge, mischiati, di rovescio, ai borghesi discorsi di apparente accoglienza dell’altro; ecco, in tutto questo marasma dove abitiamo quotidianamente, emerge una umanità che ha smarrito la propria identità umana. Ed oggi un boia drammaticamente ce lo ha ricordato.
Concordo. Bisogna capire quando è ora di fare un passo indietro, e che è questa la vera Forza.
Bisogna certo aver chiaro in testa a quale mondo vogliamo dare forma ed essere coerenti richiede davvero coraggio e forza.
Ormai, anche seguire l’esempio di coraggio estremo di Gesù, non è così scontato. Ci sono storici del cristianesimo che ne fanno un leader violento contro Roma..come dire che Lui per primo non credeva in quei valori che, se fossero seguiti “attivamente”, forse eleverebbero davvero la nostra umanità. Amore? Pace? Rivoluzione e novità cristiana? Ma per carità, tutte bufale, o comunque mica una gran novità …utopia..Gesù ha sbagliato..il Regno di Dio non è arrivato sulla terra..ma se quel Regno fosse in noi, e toccasse a noi darGli forma? Il castigo divino non sarà forse rimanere appesi ad una forma di umanità immatura che non seguendo la propria natura, non riesce a dare vita, autodistruggendosi?
Mi basterebbero solo dodici caratteri, perché il comandamento sempre tralasciato era il mio unico commento
Non uccidere