La pace si fa con il prendersi cura degli altri, dei popoli, della terra

Nel messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace, la grammatica del prendersi cura. Che è una scelta (anche) politica
1 Gennaio 2020

In questo anno senza marce né manifestazioni, vorrei incorniciare la giornata Mondiale della pace che si celebra oggi, 1 Gennaio, tra cinque notizie.

La prima l’ha pubblicata “Repubblica” il 28 dicembre: la ministra delle Difesa francese, Florence Parly, ha chiesto ad un gruppo di scrittori, disegnatori e sceneggiatori di immaginare i possibili futuri scenari di guerra o di minacce alla sicurezza della Francia. A quanto pare, all’esercito francese non bastano i consulenti esperti e i centri di ricerca: la fantasia può far fare un passo avanti nel preparare la guerra.
La seconda è che, a 75 anni dalla seconda guerra mondiale, sono in corso una trentina di guerre e un numero enorme di conflitti in tutti i continenti del pianeta: è quella che papa Francesco ha definito la Terza Guerra Mondiale a Pezzi.
La terza, più che una notizia, è un insieme di notizie: quelle che riguardano la condizione disperata e disperante di tanti profughi rimasti bloccati sulla rotta balcanica, abbandonati al freddo e alla fame, spesso vittime di violenza da parte della polizia…
La quarta riguarda Claudia Alivernini, la giovane infermiera, che per prima è stata vaccinata contro il Covid 19: in poche ore i post che rilanciavano la notizia sono stati sommersi di espressioni di odio e minacce da parte dei no vax, tanto che lei ha deciso di cancellare i propri profili social.
La guerra e il conflitto sono una questione politica, sociale, personale e infiniti sono i modi per prepararli, diffondendo odio. Più difficili e strette sono le strade per prevenirli e risolverli.

LA GRAMMATICA DEL PRENDERSI CURA

Il Messaggio del Papa per questa 54° giornata mondiale della pace indica una strada: la cultura della cura, rilanciando così quell’immagine del Buon Samaritano già proposta nella “Fratelli tutti”: chinarsi sul ferito – anzi sull’uomo “mezzo morto” – sul bordo della strada non è solo una scelta individuale, un atto che può fare la singola persona, ma è anche una scelta sociale e politica. Spetta a ciascuno di noi prendersi cura degli altri, ma spetta anche ai gruppi sociali, alla politica, agli Stati.
Non possiamo dimenticare, ci ricorda il messaggio, che le opere di misericordia erano sì impegni per i singoli credenti, ma che da questo impegno sono nate le opere di beneficienza: dai ricoveri per i pellegrini agli ospedali, dagli orfanotrofi agli ospizi… E da lì, possiamo aggiungere, è nato il welfare moderno.

Ricordando che «I cristiani della prima generazione praticavano la condivisione perché nessuno tra loro fosse bisognoso e si sforzavano di rendere la comunità una casa accogliente, aperta ad ogni situazione umana, disposta a farsi carico dei più fragili», il Messaggio propone una “grammatica della cura” in 4 fasi:

  • La cura come promozione della dignità e dei diritti della persona: ogni persona umana è un fine in sé stessa ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità.
  • La cura del bene comune: ogni scelta deve «sempre tenere conto degli effetti sull’intera famiglia umana, ponderando le conseguenze per il momento presente e per le generazioni future».
  • La cura mediante la solidarietà, che non è un sentimento vago, ma la «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno», vedendo «l’altro – sia come persona sia, in senso lato, come popolo o nazione – non come un dato statistico, o un mezzo da sfruttare e poi scartare quando non più utile, ma come nostro prossimo, compagno di strada, chiamato a partecipare, alla pari di noi, al banchetto della vita».
  • La cura e la salvaguardia del creato: tutta la realtà creata è interconnessa e la “Laudato Si’” ci ricorda l’esigenza di ascoltare il grido dei bisognosi insieme a quello del creato. Da questo ascolto «può nascere un’efficace cura della terra, nostra casa comune, e dei poveri».

Belle parole, non si può negarlo. Ma provate a metterle accanto alla prima notizia: non vi suona improvvisamente vuoto di significato quel “Si vis pace para bellum” – con buona pace dello scrittore romano Vegezio e di tutti quelli che dopo di lui, per secoli, l’hanno usata? E non vi viene da domandarvi che cosa succederebbe se quelle energie, quei soldi, fossero spesi invece per la cura della terra, dei popoli, del bene comune? A parte il fatto che Francesco nel messaggio rilancia l’idea che con i soldi delle armi e delle spese militari bisogna costituire un Fondo mondiale per eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo, cosa succederebbe se davvero, invece che sulla guerra, decidessimo di investire sulla pace?

E chi e come dovrebbe prendersi cura dei migranti sulla rotta dei Balcani? Chi e come dovrebbe prendersi cura dei no vax e di tutti gli altri che riversano il loro odio su social, e se lo buttano fuori è perché ce l’hanno dentro? Chi e come dovrebbe prendersi cura dei popoli, coinvolti loro malgrado nei conflitti che bucano il mondo, individuandone le cause e usando la creatività e la fantasia per immaginare soluzioni, non guerre?

LA QUINTA NOTIZIA

Il giorno di Natale, Comune.net ha pubblicato un articolo sul Rifugio Fraternità Massi, voluto da don Luigi Chiampo, responsabile della Fondazione Talità Kum, a Oulx, in Val di Susa. È un punto di riferimento per i migranti provenienti dalla “Rotta Balcanica” o dal Mediterraneo, che sono diretti in altri Paesi europei. Ogni giorno volontari di tutta la valle li accolgono e cucinano per loro. Uno di questi volontari è albanese ed è arrivato a brindisi nel ’91, con la moglie e due figli. Qualcuno, allora, si è preso cura di loro; ora loro si prendono cura di altri. La quinta notizia è questa: “prendersi cura” si può fare. È il circolo virtuoso della pace.

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