In un paese vicino a Trento dal nome romantico, Roverè della Luna, in pochi giorni una giovane donna intraprendente ha raccolto 160mila firme – grazie ad una piattaforma on line – per chiedere la “liberazione” del proprio cagnolone, Miro. Il quale era stato prelevato dai carabinieri e portato in un canile su ordine del Tribunale di Trento, dopo che un vicino di casa aveva fatto un paio di querele, sostenendo che per lui era impossibile dormire a causa dell’abbaiare notturno.
Io non so come stanno veramente le cose: per questo esistono i tribunali e a loro spetta il verdetto. Ma la notizia è arrivata negli stessi giorni in cui ne è arrivava un’altra, che riguarda la ONG spagnola Open Arms, cui la procura di Catania aha fatto sequestrare la nave con la quale aveva salvato 215 migranti in fuga dal Nord Africa. L’accusa era duplice: associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
Ora quella più grave – associazione per delinquere – è stata cancellata dal GIP e l’inchiesta è passata da Catania a Ragusa. Ma, come sempre succede, la notizia della derubricazione del reato è passata in secondo piano rispetto alla notizia dell’accusa. Perché, nella narrazione prevalente oggi, le ONG – come le cooperative sociali, le associazioni, la case famiglia e via elencando – sono degli enti che speculano sulle disgrazie altrui. Che cosa poi abbiano da guadagnare le ONG dal salvare vite umane in mare non è chiaro, ma la domanda non sembrano porsela in molti.
Io invece me ne pongo due.
La prima riguarda la vicenda di Trento. Se io avessi lanciato una petizione in favore del vicino di casa stremato dall’insonnia a causa dell’abbaiare del cane, quante firme avrei raccolto? Forse un paio, forse nessuna: i vicini, è noto, sono meno popolari, morbidi e coccolosi di un cane fotografato mentre guarda dolcemente un gattino abbracciato dalla padroncina (tale è la foto che accompagna la raccolta di firme). Il diritto alla salute di un uomo non trasmette emozioni, cagnoloni e gattini notoriamente sì.
La seconda domanda riguarda Open Arms e le altre ONG incappate in disavventure simili. Se io avessi fatto una raccolta di firme per chiedere il dissequestro della nave in modo che possa riprendere le proprie attività salvando vite di uomini, donne e bambini, quante ne avrei raccolte? Forse un paio, forse nessuna. Neanche l’idea di salvare vite umane trasmette emozioni sufficienti a spingere a firmare, nonostante le fotografie di gente disperata che cerca di tenersi a galla e di aggrapparsi a qualunque cosa. Niente di morbido e coccoloso, niente di popolare soprattutto.
Quell’opinione pubblica che si è mobilitata per il cane, non ha nessuna intenzione di mobilitarsi per gli umani – neri, poveri, sconosciuti. Un cane non può stare in un canile, in attesa del giudizio di un tribunale. Gli uomini e le donne devono stare in prigione (quelle libiche, dove vengono torturati, violentati, a volte uccisi) in attesa di… che cosa? La morte, visto che il diritto alla vita non è loro riconosciuto.
Una volta si chiamava “scala di valori”, ma oggi questa espressione non si usa più. Dirsi che ci sono priorità – come la difesa della vita, della dignità, della libertà delle persone in fuga da guerre, dittature e povertà – che qualificano la nostra civiltà è un discorso troppo razionale. Viviamo in un’epoca prigioniera delle emozioni, e ci fa tanto male.