In morte di Lorenzo Parelli

La morte del giovane studente della provincia di Udine suscita alcune considerazioni necessarie per cogliere nel suo insieme "cosa" sia avvenuto...
26 Gennaio 2022

Tre giorni fa un ragazzo è morto schiacciato da una putrella mentre stava completando uno stage presso un’azienda meccanica della sua zona. La morte di un ragazzo di 18 è una tragedia enorme e sancisce, ancora una volta, la mancanza di una cultura della sicurezza sul lavoro in Italia. Questa morte ha scatenato un dibattito po’ surreale sull’alternanza scuola lavoro. Vorrei svolgere tre brevi riflessioni a latere.

 

1. Lo studente era iscritto a un centro di formazione professionale. Non è un istituto professionale, né un istituto tecnico, e meno che mai un liceo. Stiamo parlando di un settore diverso che è legato all’avviamento al mondo del lavoro proprio per chi non riesce o non vuole avere un diploma. Sono percorsi in cui si insegna un mestiere. La sua teoria. La sua pratica. Sin dal secondo anno ci sono periodi di stage in azienda che servono a consolidare la teoria e ad apprendere fattivamente la pratica.

Si può discutere sull’impianto teorico di questi percorsi o, più ancora, sull’utenza a cui si rivolgono, spesso proveniente da situazioni di povertà che viene respinta, quasi vomitata dalla scuola superiore – e questo è per me il vero scandalo. Ma una cosa è certa: i periodi di stage connaturati a questi percorsi sono cosa diversa dai PCTO. Che a loro volta sono una cosa differente dalla irricevibile e criticabile – nella teoria e nella fattibilità pratica – proposta “renziana” della Alternanza Scuola Lavoro. Distinguere le cose aiuta a calibrare anche gli eventuali miglioramenti da proporre e perseguire.

Trovo francamente inaccettabile che non tanto i giornali, quanto docenti, educatori, intellettuali, professori universitari confondano o rendano sovrapponibili cose diverse. Non solo lo trovo un indice della generale ignoranza di norme, note, linee guida in chi dovrebbe conoscerle quantomeno per lavoro, ma soprattutto una delle cause per cui si fatica a fare le cose per bene, a cambiare la scuola dal di dentro, nel quotidiano, ostaggi di chi non si legge una carta neanche per sbaglio.

 

2. La scuola si fa a scuola. Certo. Ma questo non vuol dire né che la scuola sia mera didattica, né che sia legata esclusivamente all’acquisizione di conoscenze in una comunicazione monodirezionale che dal docente arriva allo studente. Al contrario, ogni cammino educativo che si rispetti riconosce la centralità dello studente, il quale si costruisce, fa propri o rifiuta gli stimoli, si relaziona con l’adulto e i suoi pari in un contesto di regole di cui si evidenziano o si contestano i valori, ecc… A scuola si va per imparare. Le nozioni sono importanti. Ma tutto è al servizio della maturazione umana, civile, sociale dello studente che si riscopre come una persona immersa in un contesto linguistico, simbolico, culturale, relazionale (e spirituale) da cui è trasformato, ma che è chiamato a sua volta a trasformare.

Spesso però l’esperienza quotidiana è frustrante, appiattita su un versante meramente economico/aritmetico: studio per avere un buon voto o per evitare quell’“arpia” di professoressa o quel “frustrato” di professore. La dimensione educativa e di libertà iscritta nella cultura è sepolta sotto logore pratiche educative da scuola gentiliana (quando va bene). I PCTO cercano di ricentrare la formazione scolastica sulla persona e quindi si costituiscono come progetti formativi la maggior parte dei quali si svolge in enti formativi (università, circoli culturali, associazioni territoriali).

Sono responsabile da due anni del PCTO per i licei della mia scuola. Non c’è un progetto che assomigli a un lavoro (non retribuito) per lo studente. Forse al tecnico la cosa è diversa, ma è oggettivamente diverso pure il curriculum formativo. Questo non significa che tutto è perfetto. Al contrario. Non tutti i percorsi sono significativi. Le università ogni anno accettano un numero limitato di studenti. Il ministero non ha un registro certificato di partner che possano assicurare formazione di qualità a tanti studenti. Alcune associazioni, nonostante i buoni propositi, poi di fatto non sanno nulla di scuola, di valutazione, di progettazione di percorsi formativi. A volte un progetto che dovrebbe innestarsi nella programmazione del consiglio di classe finisce per essere anonimo, standard, fatto esclusivamente per adempiere una norma che, nemmeno in pandemia o in lockdown, ci è stata risparmiata (come dimostrano i dpcm in merito o le dichiarazioni dell’allora ministra Azzolina). Però i PCTO non sono Alternanza Scuola Lavoro. Se qualche scuola continua a riproporre percorsi di alternanza, è pigrizia o malafede.

 

3. C’è poi una questione sociale. La nostra società è sempre più classista. E, conseguentemente, lo è la scuola che ne è lo specchio. L’anno scorso ho scritto un commento sul curriculum dello studente e una successiva riflessione sulle trasformazioni in atto nella scuola. Una tendenza è evidente: il capitale economico e culturale delle famiglie di origine degli studenti si trasforma in occasioni di formazione sempre più selettivi e discriminanti. E la scuola, dal credito formativo al curriculum dello studente, passando per le convenzioni PCTO rivolte a chi frequenta quella famosa accademia di ballo, di musica o di sport, si sta trasformando in ente certificatore di attività extra. Per chi le fa.

E chi non le fa perché il capitale culturale, sociale ed economico della famiglia di provenienza non lo permette?

Per loro resta solo la scuola e la sua missione di non arrendersi a queste diseguaglianze. In un mondo che non riconosce e non vuol vedere la povertà, la scuola ha il dovere di contrastarla. Ogni anno mandiamo circa 200 ragazzi in percorsi universitari. Da un paio di anni abbiamo un progetto di formazione con il CERN. Altri progetti con il CONI. Con Save the Children, Sant’Egidio, la Caritas, Istituto superiore della sanità, ISPRA ecc. Molti studenti non sarebbero mai entrati in contatto con queste realtà nella vita. Togliere queste opportunità non cambia niente per chi ha le spalle coperte da mamma o papà. Cambia per gli altri. Scusate, ma se non è classista questo…

 

Una risposta a “In morte di Lorenzo Parelli”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    San Giovanni Bosco l’altro ieri è San Giovanni Paolo II ieri, due esempi per Come è quanto sia importante oggi intervenire, operare e avere a cuore interesse ai problemi che vivono i giovani di oggi . A leggere quanto la cronaca focalizza, di gangs che usano violenza su coetanei, o scolari che soffrono di depressione, paure che li fa estraniare o chiudersi in se stessi, genitori che manifestano bisogno di aiuto, i tanti casi ormai quotidiani riportati dai quotidiani, al comune cittadino impressionano, e viene di equipararli a quelli dei tempi degli Educatori citati. Serve il meditare come è quanto Karol Wojtyla e Giovanni Bosco hanno mostrato spiccata attenzione verso i giovani !oggi e forse più difficile di allora, esiste un vuoto da colmare che il cuore reclama più del pane che non manca. Sarebbe un bene se le Istituzioni civili e quelle presenti nella Chiesa operassero in piu stretta collaborazione a questo “benecomune”.

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