Il vangelo e l’audience

Il vangelo e l'audience
28 Giugno 2017

Arriva una notifica da FB. Apro e leggo. Un prete missionario scrive una lettera (https://it.aleteia.org/2017/06/26/pedofilia-lettera-salesiano-new-york-times/) al New York Times, a commento dell’ennesimo articolo del giornale sulla questione dei preti pedofili. E mentre la leggo mi dico: sì, nella Chiesa ci sono anche persone belle e anzi, forse sono molte di più di quelle che purtroppo fanno notizia sui giornali. In modo semplice, ma efficace, con un lato ironico e mai pungente, p. Martin Lasarte, SDB, missionario da 20 anni in Angola, racconta cosa fa concretamente un prete missionario, per ricordare che a fronte dei casi di preti che lasciano una contro testimonianza, c’è anche chi, in silenzio, quotidianamente, si spende per seguire Cristo. E lo fa senza voler far notizia, ma semmai per far risaltare la Buona Notizia.

Finita la lettura mi resta dentro l’emozione intensa, piacevole, di qualcosa della bellezza del vangelo, incarnata davvero nella vita di persone che hanno l’odore delle pecore di Cristo, che non si lesinano e non si risparmiano. E penso che sarebbe bello se queste notizie avessero davvero più spazio nelle comunicazioni di massa. Poi, mi rendo conto che spesso molti “addetti ai lavori” delle comunicazioni sostengono sempre che “il bene non vende”.

Però a ben guardare gli stessi addetti, suggeriscono che in fondo la notizia che “tira” è quella che suscita emozione, che colpisce emotivamente. Cioè, non è certo l’idea in sé ad attirare in una notizia, ma quanto questa idea muova la reazione emotiva, per attrazione o repulsione, sorpresa o indignazione in chi la legge. Tanto che il modo in cui la notizia è scritta fa una differenza abissale tra l’essere “visibile” o no. Soprattutto in questa cultura post-moderna, dove le emozioni sembrano essere l’unico criterio per dirigere i nostri interessi, il “bello”, inteso come l’emozionante, è molto più efficace del vero, e ancor di più del buono. Anzi, spesso molti ritengono vero ciò che suscita emozione, per il fatto stesso che la suscita, indipendentemente dal fatto che dica o meno qualcosa di reale. Tra i miei studenti questo è un atteggiamento molto diffuso.

Ma allora mi chiedo. Perché l’emozione bella che io sento in questo momento sembra essere esclusa rispetto a quelle capaci di “attirare”, di vendere notizia? E’ una emozione pure questa, indubbiamente. Anzi, la parola che più risalta su FB, a commento di questo articolo di p. Martin, è proprio “emozionante”. Eppure, l’impressione è che la bellezza del vangelo incarnato provochi un tipo di emozione che, stranamente, sembra essere una moneta di scambio comunicativo “falsa”, tra chi mercanteggia con le notizie. Per cui molti scelgono di non “usarla” e di non metterla al centro delle possibilità di “vendere” notizie. Ammesso e non concesso che io non stia parlando solo di una mia “fisima”, ma di qualcosa che anche altri vedono, il mio demone non resta fermo: perché l’emozione del vangelo non può fare “odiens” come altre emozioni, molto più comuni e usuali?

A me sembra che siano due le tracce possibili, che in verità si intrecciano tra loro, per tentare di capire. La prima. L’emozione del vangelo non può fare “odiens” come altre emozioni perché è di natura diversa. Proviene da una Parola che non si lascia mercanteggiare, che quando è utilizzata per vendere o comprare si spegne, e cede il passo. Il nostro è un Dio che non si vende e non si compra, che non si lascia mercanteggiare, che sta “fuori mercato”. E quando viene tirato dentro il mercato non parla più. Con buona pace di coloro che all’interno della Chiesa spingono perché il vangelo abbia la stessa visibilità di altre “culture”, puramente umane, perciò mercanteggiabili. Di coloro che dicono che siamo noi cristiani che non ci sappiamo “vendere” bene, che non sappiamo conquistare il potere “comunicativo”, come altri fanno. Ho dei forti dubbi che la logica di chi mercanteggia con le notizie, sia la stessa di quella Parola.

E qui si apre la seconda traccia. Appunto, che logica ha chi mercanteggia con le notizie, chi fa a gara per avere “odiens”, senza guadare in faccia a nessuno? L’impressione che ho è che, al fondo, non creda molto nella verità. Al massimo crede nelle verità parziali di ogni interpretazione, ma nessuna di esse ha la possibilità di attingere la Verità, perché questa non c’è. Oppure, nella versione più estremizzata, crede che sia la sua interpretazione ad essere la Verità e che sia giusto lottare perché questa si affermi.

Il New York Times che pubblica questa lettera di P. Martin, forse lo farà anche per senso di equità comunicativa, ma, molto probabilmente, anche perché così ha una occasione per rifarsi una “verginità”, e avere poi più legittimità per continuare le sue campagne ideologiche. Ma, allo stesso modo, coloro che all’interno della Chiesa lavorano perché la propria verità si imponga, attraverso logiche comunicative di “mercato”, finiscono per tradire proprio il senso profondo di quella Verità a cui si richiamano. La verità di Dio non si impone, mai. Per questo, è ancora un bene che, come Cristiani, non possiamo fare “odiens” come gli altri: non possiamo servire due padroni.

 

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