Il nuovo nome della Pace, tra serpenti e colombe

L'annuale Marcia della Pace assume quest'anno significati ulteriori alla luce delle vicende di Mimmo Lucano e dei recenti scontri di Roma.
11 Ottobre 2021

Ho trovato una bella catechesi su Évangile et liberté, rivista francofona del Protestantesimo liberale, che spiega in breve e molto chiaramente il monito evangelico «siate astuti come serpenti e puri come colombe» (Matteo 10,16). È un articolo del 2013, ma mi è sembrato attualissimo: «fare il bene è estremamente complicato», spiega l’autore, «ne conosciamo globalmente il senso, ma nella pratica bisogna essere saggi per non mancare di discernimento». Aggiungerei che, nella pratica, la saggezza è necessaria anche per prendersi cura di sé e salvaguardarsi dalle insidie del male.

Ho pensato a questo versetto dopo aver seguito la vicenda dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano: condannato in primo grado, il 30 settembre scorso, a oltre 13 anni di carcere, riconosciuto colpevole di associazione a delinquere e truffa ai danni dell’Unione Europea (e molto altri capi d’accusa, che sono stati ben 22). La sentenza ha destato scalpore, poiché questi reati Lucano non li ha compiuti per tornaconto personale, bensì per accogliere e prendersi cura dei migranti. Secondo il parere di molti, dunque, sarebbe reo “a fin di bene” e il suo difensore, l’avvocato Pisapia, ex sindaco di Milano, l’ha spiegato qui, aggiungendo: «perché un fatto sia reato ci vuole anche la consapevolezza di commettere un illecito. Ma le leggi sull’accoglienza sono complesse e mutevoli con diverse interpretazioni». Rincara la dose padre Alex Zanotelli, secondo cui si tratta di leggi che deliberatamente «esternalizzano le frontiere, per non accogliere i profughi che bussano alla nostra porta»; invita a un digiuno di solidarietà, perché a suo avviso «Lucano è condannato perché ha creato a Riace un modello di accoglienza», rendendosi colpevole di “reato di umanità”. Insomma prendersi cura degli altri in molti contesti è davvero complicato, è come camminare su un terreno accidentato per cui serve equipaggiamento: per questo non ci si può fare colombe senza essere anche serpenti.

Ma non possiamo permetterci neanche di restare solo a strisciare in terra per paura di cadere, perché siamo vocati a prenderci cura gli uni degli altri e, per dirla con lo slogan della Marcia Perugi-Assisi che si è appena conclusa, “Cura è il nuovo nome della Pace”. Flavio Lotti, promotore dell’iniziativa, ha celebrato i sessant’anni della Marcia ponendosi sulla stessa linea programmatica di don Milani e ha portato proprio Lucano come esempio di accoglienza e di cura (qui). «Cos’è la cura?», ha spiegato, «è la capacità di prestare attenzione, di ascoltare, di comprendere, di lasciarsi toccare dal volto dell’altro, di procurargli quello che gli serve quando ne ha bisogno». Ecco dunque che, alla luce delle vicende recenti e dell’aumento della tensione sociale a cui stiamo assistendo, quest’anno partecipare non aveva solo il significato di sfilare festanti lungo i 22 km tra Perugia e Assisi (comunque vi consiglio di farlo almeno una volta nella vita), ma anche di dare voce a quei costruttori di pace di ogni confessione, che desiderano edificare ponti tra i popoli, piuttosto che muri. Fra i tanti, in prima fila c’erano Lucano e padre Zanotelli, naturalmente, ma anche il sindacalista Soumahoro, che da anni si prende cura dei diritti dei lavoratori agricoli, invisibili e sfruttati; c’erano rappresentanti della società civile, gruppi scout e associazioni, scuole e parrocchie, laici e religiosi, da tutto il mondo e di tutte le età. Forti i momenti di ricordo di Gino Strada, tante le preghiere per la liberazione di Patrick Zaki. Esiste una petizione per includere la Marcia nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO (LINK), «perché la costruzione della pace e della fraternità diventi un impegno quotidiano di tutti e ciascuno».

Impegno faticoso, senza dubbio, perché richiede in primis una presa di posizione, poi una rinuncia a qualche comodità ed infine di resistere alle tentazioni di fare il male o restare indifferenti. Talvolta persino la disobbedienza diventa un dovere civico, però va accompagnata da un’attenzione e un’astuzia ancora maggiori. Chi riceve il bene non se ne accorge, perché si trova spesso in situazione di tale necessità da non rendersene conto, ma quanti operano nel volontariato sanno esattamente di cosa sto parlando. Ecco allora che è necessario non solo che gli operatori siano formati, ma soprattutto che non siano lasciati soli, perché si troverebbero in pericolo. Un parroco una volta mi disse che preferiva sbagliare in maniera comunitaria che fare il bene da solo; parlava per paura, per conformismo, per abitudine all’obbedienza, eppure in qualche modo aveva colto nel segno. Ma se «l’obbedienza non è più una virtù», come tuonava don Milani, allora serve una nuova educazione comunitaria, che ci porti tutti verso il bene, consapevoli che il cristiano «se è troppo serpente è schiacciato nella polvere, se è troppo colomba evapora».

 

 

2 risposte a “Il nuovo nome della Pace, tra serpenti e colombe”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Però è anche vero che accogliere non significa soltanto salvataggi in mare. Il problema andrebbe focalizzato là dove avvengono le partenze. L’uomo, la persona umana, ha delle esigenze comuni: per esistere ha bisogno della sua propria dignità, quello di procurarsi il cibo di vivere una esistenza in una società dalla quale poter contare in fraternità e amicizia. Non è accogliere se la gente è senza un lavoro, se rimane chiusa in accampamenti mentre nei loro territori ferve la guerra, se fuggono per poverta e maltrattamenti ma non è forse da intervenire a livello di governi a fornire quel l’aiuto che consente a non dover emigrare. Se è doveroso salvare chi è in pericolo, ma questo salvataggio di popoli, comunita deve anche avvenire all’interno dove il danno, dove chi vive subisce oltraggio.Amare il proprio popolo, conservare le proprie radici significa rispetto verso ogni singola persona. Quel benecomune sotto ogni cielo come diritto alla vita

  2. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Se il papa non invita neppure il Dalai Lama agli eventi internazionali in Vaticano per non “dispiacere” alla Cina, potenza che impone i propri voleri, stiamo parlando di colomba o di serpente ? La pace imposta dall’alto come assenza di conflitti perche’ c’e’uno solo piu’forte ed egemone che comanda e’ ingiusta. Non c’e’pace senza giustizia e verita’. Se no e’la pace del quieto vivere ,del vivacchiare

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