Tornerà tutto come sempre o niente sarà più come prima? Sono domande che ci facciamo tutti in questo tempo di vita chiusa in casa, ingabbiata, come disse Papa Francesco all’inizio della pandemia.
Certo le conseguenze di questi mesi di distanza e videochiamata lasceranno segni indelebili. Penso soprattutto alle famiglie colpite dalla malattia, dal lutto, dall’incertezza lavorativa, famigliare e personale. Alle persone sole, rimaste isolate per così tanto tempo, agli anziani, ma anche ai ragazzi, privati del contatto fondamentale con gli amici, della vicinanza fisica, reale, di insegnanti ed educatori, che nessuna lezione a distanza potrà mai sostituire nella loro presenza educativa – e non solo istruttiva – fatta di sguardi, gesti, attenzioni…
Tutto questo lascerà in noi scorie e cocci, che con sapienza ci sarà chiesto di prendere in mano e provare a ricomporre. Saremo chiamati probabilmente per diverso tempo a rispettare norme igienico-sanitarie che contribuiranno a modificare ulteriormente le nostre abitudini e il nostro stile di vita. Ma se provo a pensare al domani, vorrei davvero non fosse solo questo. Non fosse cioè solamente un raccogliere cocci e rispettare nuove regole. A queste componenti, che senz’altro vivremo, sogno se ne aggiunga un’altra…
Il tempo che stiamo vivendo, alla luce della Settimana Santa da poco vissuta, mi appare molto pasquale. Sia in senso etimologico – è un tempo di passaggio – sia facendo riferimento alle vicende bibliche che la Pasqua ebraica e quella cristiana rievocano. In tanti hanno messo in luce la similitudine tra il nostro tempo e quello di Israele nel deserto, quello dei discepoli, chiusi in casa per la paura. Stretti tra un passato rimpianto – “Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla” (Nm 11,5-6) – e un futuro ancora indecifrabile – “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Lc 24,21).
Ma il tempo del deserto, lo sappiamo, non è solo un tempo di aridità e privazione. Biblicamente è un momento di intimità, con sé e con Dio, nel quale siamo ricondotti all’essenziale e maturano i sentimenti più veri, i desideri più profondi, le scelte più feconde.
Sono tantissime le provocazioni che questa quarantena offre alla nostra vita, alla riflessione sul senso di quello che viviamo, sulle nostre abitudini e su cosa vi dia realmente significato; alcune cose oggi ci appaiono con una chiarezza inaudita. Il valore del lavoro, delle relazioni, l’insufficienza del web come strumento per viverle, la consapevolezza di essere “tutti sulla stessa barca”, non delle monadi autosufficienti, ma parte di un popolo, di un mondo, in cui quello che io vivo appartiene anche all’altro e quello che io faccio riguarda tutti. Tantissime dinamiche delle nostre società a cui eravamo assuefatti, emergono in tutta la loro contraddittorietà: un capitalismo presentato come panacea di tutti i mali che si mostra insufficiente e inadeguato – se non di ostacolo – alla sfida della pandemia; lo stridore del confronto tra gli investimenti in armamenti e quelli per la spesa sanitaria; città simbolo di efficienza e modernità che annaspano e rischiano il collasso; una politica fatta, con le dovute eccezioni, da VIP improvvisati che non sanno come barcamenarsi, stretti tra la volontà di preservare il consenso e la necessità di applicare misure che la competenza di altri suggerisce. Per non parlare delle enormi provocazioni che la sospensione delle Messe, la loro sostituzione con lo streaming senza popolo, lo spostamento del luogo ecclesiale nel contesto famigliare, e mille altre cose, pongono alla vita della Chiesa e al suo futuro.
Quello che sogno è che di queste evidenze di oggi, domani possiamo fare tesoro. Quando potremo, impegniamoci a creare luoghi e momenti per incontrarci, ascoltarci e raccontarci, affinché, con discernimento, possiamo abbandonare rivalità e contrapposizioni e raccogliere insieme la novità – la manna nel deserto, il sepolcro vuoto il mattino di Pasqua – che questo tempo ci consegna. E deciderci a desiderare uniti un mondo nuovo, una Chiesa nuova, relazioni nuove – la Terra Promessa, l’incontro col Risorto, che dà la forza di partire senza indugio. Che il domani non sia un oscillare tra la nostalgia di ieri e i cocci di oggi, ma possa essere soprattutto un desiderio da realizzare insieme. Se così sarà, constatare che “Niente è più come prima!” non sarà solamente un rimpianto.
Sinceramente non so se tutto tornerà come prima o tutto cambierà. Quello che però sicuramente non vorrei è che alla fine, specialmente a casa nostra, si applicasse di nuovo il detto gattopardesco “bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga come è”. Gli indizi, secondo me, ci sono tutti: la politica continua a cavalcare la paura, prima dei contagi ora della crisi, anziché pianificare responsabilmente il futuro; nella Chiesa, senza sminuire tante belle iniziative locali, ci si è sostanzialmente affidati in tutto al Papa in tv; pochi decidono per una maggioranza che moltiplica i gruppi whatsapp e le relazioni sul web ma con forse fin troppa facilità, fatta passare per disciplina e patriottismo, ha delegato a un’ élite gran parte delle sue libertà… Le condizioni della parte di mondo più povera, poi, difficilmente potranno migliorare.
L’epidemia, da sola, non ci toglierà questi difetti. Spero in un po’ di respirazione artificiale spirituale da parte del buon Dio.
Guardare a ieri dovrebbe essere per dire che si stava invaghendo a seguire un dio sbagliato; la tecnicologia!ormai perfino giovani se riuscivano a inventare una nuova application da arricchire lo smartphone si esaltava la cosa quanto poteva arricchire la persona e il mercato,un idolo di se stessi. La situazione nuova e triste oggi leggere che molti e madri chiedono presenza per i figli disabili supporto scolastico dimenticato. A mio parere serve l’aiuto più ravvicinato, non quello di prima, più somigliante a quello dei premiati dal Presidente, la sensibilità di chi si offre e l’aiuto civico a realizzarla. Come cattolici e ‘questo che il Risorto insegna, uscire ! Il Santo Padre che è uscito in pellegrinaggio solo, realisticamente ha insegnato, la ragazzina che sola con il cartello esce anche da scuola ammonendo che bisogna salvare “la Terra”! Ha dato la sveglia del pericolo imminente!