Il giorno dopo gli scrutini…

Noi su cosa puntiamo? Su una generazione futura di furbi e fortunati?
24 Giugno 2011

Non mi ci sono ancora abituato. Dopo 23 anni di insegnamento fatico ancora a digerire certe cose. E mi “indigno”, per usare un eufemismo che va di moda. E allora prendo la bici e mi faccio 12 km per “sbollire”. Raggiungo la mia oasi di pace, sopra una collina, con una chiesetta piccola e silenziosa. E respiro, finalmente! Si sentono gli uccellini cinguettare e tutti i rumori della valle arrivano ovattati. Poi entro in Chiesa e dico: “Perché Signore? Fammi capire, forse sono io che sono ancora troppo idealista”. E li rifletto e comincio a mettere in ordine i pezzi.

Metti una come Angela. Ha passato i trentacinque, è precaria da sempre, “la peggiore classe degli italiani”. Ha insegnato otto anni a 650 km da casa. Due anni fa è arrivata da noi, che siamo solo a 180 km. E siccome abita una regione più a sud della mia non avrebbe avuto i 40 punti di bonus. E siccome Maroni non è ancora premier, l’anno scorso si è sposata “almeno adesso vedo mio marito il sabato e la domenica, prima era impossibile”. Metti una come Gabriella. Di ruolo da pochi anni, ha passato i quaranta. Tre figli fatti perché ci crede. Nella graduatoria di istituto è l’ultima della sua materia. “Cavolo, la prospettiva di tornare a girare per provincia, su due o tre scuole, non sarebbe molto carina”.

Metti che entrambe insegnino in una classe che ha poca voglia di studiare, difficile, con parecchi problemi di motivazione. Per me che ho tutte, o quasi, le classi dell’istituto, quest’anno è stata la classe più faticosa. E durante tutto l’anno ci siamo detti e ridetti che non si può regalare nulla, che non possiamo far passare l’idea che possono fare nulla ed essere promossi. Metti anche che, all’inizio dello scrutinio guardi il tabellone e vedi che 5 studenti si sono “suicidati” da soli, (9 o 10 materie sotto), che uno si è ritirato durante l’anno, e che altri due viaggiano dalle 6 alle 7 insufficienze. E metti anche che qualcuno, mentre guardi il tabellone, lasci intendere tra le righe che non si possano bocciare più di 6 studenti, se no la classe l’anno prossimo non si fa.

E metti anche che Angela e Gabriella si fanno due conti. Se la classe l’anno prossimo non si fa, Angela ci rimette 1/4 di stipendio (un altro quarto già se ne è partito, perché nell’organico di diritto dell’anno prossimo una sua classe attuale è già stata tagliata) e Gabriella perde 4 ore (anche lei altre 4 le ha già perse) e la sua cattedra scompare, lasciando uno spezzone divisibile in due parti, che quasi certamente saranno date a chi, con cattedra intera, vuole integrare l’orario (lo stato spende quasi la metà in oneri, se fa cosi!!).

Ma metti anche che uno dei due che ha sei materie sotto abbia la testa buona e non abbia fatto nulla durante l’anno, mentre l’altra, con 7 materie sotto, si sia data molto da fare, ma che non abbia davvero le basi per andare avanti. Se li rimandiamo con 4 materie, facendo una eccezione alle nostre regole solite, è probabile che l’anno prossimo penseranno di essere stati furbi (il primo) e fortunata (la seconda). La pedagogia delle due “f”!! Evvai!! A dire il vero non ho mai creduto nemmeno nelle tre “i” berlusconiane, ma nemmeno penso che la pedagogia debba stare in piedi solo sulle due “s”: studio e sacrificio. Però, insomma, il confine mi sembra davvero passato sta volta!

“Signore perché dobbiamo scegliere tra salvare un posto di lavoro ed educare i ragazzi ad un senso decente della vita?” “Signore, non potresti illuminare il nostro ministro dell’Istruzione?” Caro Giulio (Mariastella non me ne volere, la realtà è la realtà!) non esiste solo l’orizzontale per fare i tagli. E caro Silvio, la politica è l’arte di costruire delle priorità. Capisco che le tue non siano le mie. Ok ci sta. Ma perché la Germania e gli Stati Uniti per uscire dalla crisi puntano sulla ricerca, l’istruzione e l’innovazione delle nuove generazioni? Noi su cosa puntiamo? Su una generazione futura di furbi e fortunati?

E metti anche che, per caso, mentre sono lì a “pensare” davanti al Signore, entra in chiesa un mio amico, marito di una mia collega che insegna in una scuola privata nella mia città. Sorrisino di saluto, pacca sulla spalla. Mi dice: “Allora hai chiuso bene quest’anno?”. “Meglio di così non si poteva: ho mangiato la faccia al preside, ho litigato con un consiglio di classe, e ho dovuto accettare due decisioni ingiuste. Ma davvero non so cosa si poteva fare di diverso. Sarebbe stata una ingiustizia per altri versi”. “Mi sembra di sentire parlare mia moglie – mi dice lui mentre sorride -. Sperava che in una scuola privata queste cose non ci fossero, e tutti gli anni deve mandare giù dei “magoni” che davvero sono pesanti”.

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