Greta e Vanessa e il peggio di noi

19 Gennaio 2015

Tra pochi giorni, il 24 gennaio, verrà pubblicato il messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2015, che arriva in un momento sensibile per il sistema dei media, per vari motivi. Il più eclatante, in questi giorni, il caso di Vanessa e Greta che, tornate a casa dopo cinque mesi di sequestro in Siria – dove erano andate come volontarie per portare aiuti alla popolazione che lottava per la propria libertà – sono state sommerse di parole massacranti e da un manipolo di politici ottusi, dai loro portaborse e portavoti, dai giornali al loro servizio.

Sono state accusate di essere state imprudenti, di essersela andata a cercare, addirittura di essere amiche dei terroristi, con relativa proposta di costringerle a restituire la somma pagata per il loro riscatto. L’informazione, ancora una volta, non ha dato il meglio di sé, anzi, qualcuno ha dato proprio il peggio. E se è chiaro il motivo per cui la stampa si è concentrata sul presunto pagamento (c’è stato? a quanto ammontava?) – compito dell’informazione è proprio fare chiarezza sui fatti di rilevanza pubblica – non è per niente chiaro il motivo per cui gli ideali e i valori che hanno spinto queste due ragazze a fondare un’associazione e a portare aiuti in un Paese lontano siano stati nel migliore dei casi silenziati, nei peggiori infangati.

Guardando lo spettacolo dell’informazione in questi giorni è stato inevitabile ripensare al messaggio per la Giornata della Comunicazione sociale 2014, dedicato alla “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”, in cui si legge che «anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza». Vanessa e Greta hanno trovato il loro modo di prendersi cura del mondo, i media certo non si sono presi cura né di loro né del loro mondo.

Tra pochi giorni, il 24 gennaio, giorno della festa di san Francesco di Sales, sarà pubblicato il nuovo messaggio, il 49esimo. Quanti, dal Concilio ad oggi! Tutti insieme formano quasi una piccola enciclopedia di riflessioni, indicazioni e proposte per un sistema dei media così importante nella vita delle democrazie, così pieno di ricchezze e potenzialità, ma anche così gravato da distorsioni e pecche da sembrare, a volte, davvero non “convertibile” al bene comune.

In questi messaggi si possono agevolmente trovare richiami e tratti comuni, ma non c’è dubbio che ogni Papa abbia impresso in essi la propria sensibilità e le proprie priorità. Tratti che emergono dalle parole significative più frequenti nei testi. Le hanno analizzate Maria Paola Piccini e Anthony Clifford Lobo, della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Salesiana, ed i risultati sono stati pubblicati nel volume “La Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro. Percorsi di comunicazione” (a cura di Renato Butera e Claudia Caneva, ed Las, Roma 2014).

A partire dal 1967 sono stati pubblicati 12 messaggi di Paolo VI, 27 di Giovanni Paolo II, 8 di Benedetto XVI e 1 di Francesco. Oltre a molte parole ed espressioni comuni, ne sono emerse alcune caratteristiche di ciascuno.

Paolo VI ha usato con più frequenza degli altri le espressioni uomini e valori spirituali. Inoltre usava spesso il pronome noi che, secondo i due ricercatori, «tende a creare un senso di inclusione e di appartenenza. Analogamente, papa Montini utilizza la parola voi, «quasi a indicare separatezza tra la Chiesa e la comunità laica. Separatezza vissuta però nell’ottica della sinergia, indicata dai riferimenti caratteristici al tema della collaborazione, alla buona volontà, alla riconciliazione e alla generosità» (p. 185).

Era il periodo della fine degli anni sessanta e degli anni settanta e molte cose sono cambiate da allora, nella società e nel mondo dei media. Se Paolo VI parlava di stampa, Giovanni Paolo II parla di mass media. Nei suoi messaggi sono parole ricorrenti la donna, gli anziani, i fanciulli, la famiglia e soprattutto gli operatori dei media. Cioè «i grandi protagonisti, gli attori sociali principali della comunicazione sociale». Le altre parole-chiave sono Chiesa e nazioni, a conferma della prospettiva ampia che papa Wojtyla dava ai suoi interventi. Ed è da sottolineare come questo pontefice «sia essenzialmente l’unico a rivolgersi direttamente alla donna», parola che ricorre nei suoi testi 57 volte delle 62 rilevabili nel totale dei messaggi. Infine, sono frequenti le parole pace, giustizia, lavoro, fiducia, giubileo e «l’uso dell’espressione mezzi di comunicazione sociale possono»: era convinto delle potenzialità applicative di quanto andava esprimendo (p. 186).

Benedetto XVI (messaggi dal 2006 al 2013) invece tiene conto della rivoluzione digitale: le parole frequenti nei suoi messaggi sono mondo digitale, reti sociali, social network, nuove tecnologie, web, rete, nuovi media. Accanto ai riferimenti al digitale, però l’altro riferimento ricorrente è silenzio e anche bellezza. Sono espressioni peculiari di Papa Ratzinger anche «parole di azioni, come il condividere, il comunicare, il parlare ed espressioni che indicano attività, quali la comunione, la condivisione, la relazione» (p. 187).

Papa Francesco ha pubblicato fino ad ora un solo messaggio, e quindi è presto per fare paragoni: attendiamo almeno il prossimo, che sarà dedicato alla famiglia.

Nell’attesa, ancora una volta constatando amaramente che l’impegno del magistero non è riuscito a umanizzare l’informazione, vorrei comunque regalare a Vanessa e Greta quattro espressioni: riconciliazione, prendendola da Paolo VI; donne, prendendola da Karol Wojtila; condivisione, prendendola da Benedetto XVI e infine cultura dell’incontro, da Papa Francesco. Sperando che possano lenire il male che alcuni mezzi di comunicazione hanno fatto a loro.

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