Giustizia riparativa: quei volti per capire Ninive

Nel libro che Paola Ziccone ha scritto in dialogo con il cardinale Zuppi pulsa la vita vera di chi passa dal carcere. E tante domande su una giustizia che dovrebbe guardare più al futuro che al passato di chi ha sbagliato.
17 Luglio 2021

In questi mesi ci siamo ritrovati tra le mani, ormai, tanti libri immaginati e scritti a partire dall’esperienza della pandemia. Ce n’è uno, però, giunto da poco in libreria che mi ha colpito in maniera particolare. L’ha scritto per l’editrice Rubbettino Paola Ziccone, che di sé dice di essere cresciuta “in riformatorio”, avendo seguito la stessa professione paterna di direttore di carceri minorili in diverse parti d’Italia. Il volume si intitola “Verso Ninive” e – come spiega il sottotitolo – propone alcune “conversazioni su pena, speranza, giustizia riparativa con il cardinale Matteo Maria Zuppi”.

Proprio nel tempo in cui un po’ tutti abbiamo vissuto l’esperienza di sentirci costretti dentro a quattro mura, una donna come Paola Ziccone che ha scelto di dedicare la vita alla giustizia minorile e un cardinale che coltiva una particolare vicinanza al mondo dei detenuti ma anche al tema della riconciliazione tra i popoli in conflitto, hanno provato a riflettere a tutto campo su temi come il reato, la pena, ma anche la difficoltà ad accettare che un uomo o una donna che hanno sbagliato possano cambiare. Riconoscendo che il tema non nasce certo oggi: in fondo la storia di Giona e della sua riluttanza ostinata a fare i conti davvero con Ninive nella Bibbia parla esattamente di questo.

Il libro di Paola Ziccone (le cui riflessioni sulla giustizia qualche volta abbiamo avuto la fortuna di ospitare anche su questo blog) è prezioso per tre ragioni. La prima: è un modo agile per capire con rigore che cosa sia l’idea della “giustizia riparativa”, cioè quel percorso che assume come obiettivo vero della pena non infliggere una mera punizione, ma ricostruire una relazione con la società tenendo nel giusto conto anche le sofferenze delle vittime. In un tempo in cui l’emotività domina i dibattiti sulla giustizia, queste pagine indicano che un’altra strada non è un’utopia ma un cammino fatto di passi concreti.

La seconda ragione è stilistica: è bello che il cuore di questo libro sia un dialogo vero. Paola Ziccone non è un’intervistatrice; nelle domande che pone a Zuppi porta il suo sguardo di operatore del mondo della giustizia. Comprese anche tante incomprensioni e sofferenze vissute sulla sua pelle proprio per non essersi mai tirata indietro davanti a questa sfida. Ecco: questo stile è proprio ciò che nella Chiesa ci può aiutare a uscire dalla smania dell’ “oracolo”. C’è una professionalità, una competenza, un vissuto di un laico accanto alla parola del cardinale ed è l’incontro tra queste due esperienze a rendere interessante e concreto questo dialogo.

Ma ciò che a me ha fatto pensare di più in questo libro è soprattutto un capitoletto semplice intitolato “Storie”. “Andavo dal cardinale Zuppi – scrive Paola Ziccone – e avevo in mente molti episodi della mia vita da direttore del carcere minorile, molti volti e qualcuno in particolare”. Ecco allora scorrere anche per chi legge una serie di volti e di storie concrete. Per esempio l’esperienza dell’incontro tra i ragazzi del carcere minorile e una delle madri delle vittime dell’aereo caduto sulla scuola di Casalecchio di Reno.

“Uno dei ragazzi del carcere, solitamente silenzioso, che mai nulla aveva voluto raccontare di sé agli educatori o psicologi – scrive Paola Ziccone – si mise a chiederle cosa provasse per il pilota che le aveva portato via sua figlia. ‘Pietà’ rispose, ‘perché non ha mai avuto il coraggio di guardare negli occhi noi genitori e chiederci scusa’. Finì che quel ragazzo le disse che nemmeno lui lo aveva fatto con i genitori del ragazzo che aveva gravemente ferito e per il quale si trovava in carcere. Finì che disse se poteva essere lui a chiederle scusa e se poteva chiamarla per un po’ mamma, perché la sua non la vedeva da anni. Finì che si abbracciarono piangendo e che lei tornò a trovarlo una volta alla settimana finché lui non uscì di galera”.

“Ecco – conclude l’autrice – io credo che in quel preciso momento nel quale ho ascoltato le lacrime di quelle madri e ho visto l’abbraccio di quel ragazzo – chiusi dentro un carcere, ma liberi più di tutti gli altri – per un momento, un lungo eterno momento, ho vissuto quella frazione di secondo, nella quale si riesce forse a intuire vagamente il proprio destino, il perché si è venuti al mondo. È questa eccedenza personale ed esistenziale che io ho incrociato nelle vite di molti ragazzi finiti dentro”.

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