Genova: vent’anni dopo…

Il G8 fu l'apice di una serie di proteste erroneamente etichettate come No-Global, quando invece si trattava di movimenti (anche cattolici) già globali che lottavano contro il dominio dei mercati mondiali
20 Luglio 2021

Dov’eravate vent’anni fa, nei giorni intorno al 20 luglio? Io non ero a Genova, ma molte altre persone sì e lo ricordano bene. Chi fosse scarsamente informato sui fatti del G8 del 2001 può trovare in questi giorni, praticamente su tutte le testate italiane (ma anche internazionali), ricostruzioni dettagliate di quel tragico susseguirsi di eventi che accompagnò la riunione degli Otto Grandi potenti della Terra. Gli articoli più accurati sono quelli che non si limitano a ricordare le forti emozioni di quei giorni, ma che partono da prima, dalla descrizione di come prese vita il movimento di protesta in risposta al grande dibattito socio-economico che ha caratterizzato tutti gli anni ’90, fino all’inizio del Nuovo Millennio. In questo contesto, i fatti di Genova ebbero una tale complessità che non possono essere letti ad un solo livello: ridurli soltanto al drammatico esito degli scontri di piazza significa ignorare un movimento che ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo per almeno un decennio, nonché vanificare gli sforzi di coloro che hanno messo a repentaglio la propria vita e la propria incolumità a causa della pessima (e in alcuni casi colpevole) gestione dell’evento.

Io ero poco meno che ventenne all’epoca dei fatti e guardavo con ammirazione quella costellazione di movimenti che si radunava in giro per il mondo in maniera pacifica (da Colonia a Seattle, da Porto Alegre fino ad arrivare a Genova) per far sentire ai grandi la voce dei poveri e dei dimenticati. Essere adolescente negli anni ’90 ha significato assistere, dopo il crollo del Muro di Berlino, alla liberazione di Nelson Mandela, al Nobel per la Pace di Rigoberta Menchù, alla costituzione dell’Europa Unita (intesa come fratellanza tra i popoli, prima che come accordo commerciale), alla stretta di mano tra Rabin e Arafat, e a tanti altri accadimenti che ci fecero sperare un mondo improvvisamente più unito e pacificato. Forse già allora, però, avevamo gli elementi per non farci troppe illusioni, perché in quegli stessi anni assistemmo anche alla prima invasione americana dell’Iraq, alla guerra fratricida in ex Jugoslavia, al genocidio del Ruanda, all’uccisione dello stesso Rabin e ai test nucleari francesi in Polinesia. Inoltre in Italia ebbero luogo gli attentati a Falcone e Borsellino, oltre che alla ripresa degli omicidi a firma BR. Tuttavia a livello di base qualcosa veramente sembrava muoversi: si percepiva un fermento importante ed un’attenzione ai temi sociali ed economici, che si univa ad una crescente capacità di spostamento e di comunicazione, mettendo i giovani in grado di fare rete anche tra realtà diverse e lontane tra loro.

Ecco dunque che al Genoa Social Forum (un coordinamento di centinaia di associazioni) non c’erano solo centri sociali e gruppi anarchici, ma anche numerose organizzazioni cattoliche, come ACLI, Pax Christi, Comunità Papa Giovanni XXIII e la Rete Lilliput, che riuniva vari soggetti impegnati nella cooperazione con il sud del Mondo (animata tra gli altri da padre Alex Zanotelli). Insomma a c’eravamo tutti noi, perché erano in qualche modo rappresentate «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono». Prendere le distanze da quel movimento significa non riconoscere che pur dal suo sgretolarsi esso ha comunque prodotto frammenti che possono essere fecondi.

Quell’insieme di proteste venne etichettato genericamente come No-Global, trascurando un aspetto fondamentale: si trattava di movimenti già globali, che non lottava affatto contro lo scambio tra popoli differenti, bensì contro il dominio dei mercati mondiali su qualsiasi altra priorità economica, sociale ed ecologica. Lo stesso Giovanni Paolo II, pochi mesi prima del G8, ricordava che «ciò che più preoccupa la Chiesa, rispetto alla globalizzazione, è che il mercato è diventato cultura nella testa della gente».

La vera sfida di quei movimenti non era contrastare un’inevitabile e fruttuosa condivisione di esperienze e saperi (e perché no? Anche di merci, finché non sia sinonimo di sfruttamento e nuovo schiavismo), bensì di acquisire una consapevolezza che travalicasse i confini nazionali, spingendoci verso una coscienza globale. In una conferenza della Caritas di Roma nel 2004, curata da quello che allora si chiamava Settore Educazione Pace e Mondialità, Antonio Nanni (all’epoca vice direttore del CEM – Centro di Educazione alla Mondialità) diceva che «dobbiamo uscire da una visione stato-centrica ed entrare in una visione pan-umana». È una responsabilità che compete noi tutti e credo che le nuove generazioni siano pronte per farsene carico. Una parte della Chiesa nel 2001 era in prima linea: lo è anche oggi?

6 risposte a “Genova: vent’anni dopo…”

  1. Rosario Grillo ha detto:

    Tanti, come me, diedero la prevalenza alla “contingenza politica “ che portava ad inveire contro i “modi spicci” ed autoritari del combinato Berlusconi-Fini. Dentro c’era molto molto di più!
    E da allora il “berlusconismo” “come metodo” dilagò imperterrito. Il sistema politico, compresa la sinistra istituzionale, aveva ingoiato il rospo. ( La prova diretta: la sinistra eleverà di lì a poco De Gennaro a figura di governo. Lui, il primo responsabile!)
    I partiti della “ resistenza democratica “ si lasciarono sfuggire le ragioni preveggenti del “ movimento no-global “ a Genova e da lì partì la diaspora, anzi si moltiplicò esponenzialmente, perché era già iniziata.
    Avessimo avuto già allora la guida di Bergoglio, avrebbe aperto gli occhi a qualcuno!
    Oggi la presa del Potere è diventata stritolante.

  2. Davide Corallini ha detto:

    Una tragica giornata. Alcune proteste degenerarono, come succede spesso in queste circostanze e parte dei cosidetti No-Global commisero violenze e danni gravi. Purtroppo, chi doveva proteggere e garantire l’ordine degenerò, come succede spesso in questi casi e ci furono repressioni inaccettabili. Quello che mi rattrista fortemente è che passarono e passano per martiri persone che non lo furono e non lo sono. Non basta la difesa di un’idea a permettere violenze e proteste di ogni genere.

    • Daniele Gianolla ha detto:

      Le violenze furono cieche, da un lato, brutali, dall’altro. Presumibilmente ben architettate da entrambe le parti. Il dramma degli eventi ha distolto l’attenzione dal movimento, che cresceva e cercava di costruire una via nuova di economia globale, di cui molti hanno avuto paura.

      • Davide Corallini ha detto:

        Vuol dire che non era un movimento destinato a durare nel tempo. Sicuramente certe contaminazioni con i violenti o con una parte estremista (ma non necessariamente violenta) al suo interno, non lo hanno aiutato. Sono poi i motivi per cui hanno avuto la loro parte di responsabilità in quel disgraziato G8. Non è detto poi (anzi tutt’altro) che molti di quelli non violenti o estremisti, si siano riciclati in nuove sfide…magari quelle ambientaliste, magari quelle sociali.

  3. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Che fossero movimenti non violenti non e’vero. Forse volete dare una visione edulcorata ad usum delfini di quello che successe. Ma io c’ero. Ma violenze vi furono da entrambe le parti :da parte della polizia vero , ma anche da parte deii manifestanti che misero a ferro e fuoco Genova, spaccarono vetrine, bruciarono automobile. Buttarono motov . Voi naturalmente vi dissociate da questi manifestanti estremisti: ma non potete negare che vi furono. Gente che assali le forze del l’ ordine con molotov . Che senso ha per un cristiano giustificare questo o sorvolare sulle vicende dei manifestanti ? Sembrate i musulmani moderati che si dissociano a parole dai terroristi. Ma intanto sono complici .

    • Daniele Gianolla ha detto:

      Il fatto che lei fosse presente non significa che abbia visto tutto, inoltre aver visto non significa aver capito. Gli eventi vanno osservati nella loro complessità e riletti a distanza, lontano dalle emozioni del momento. Lungi da me negare le violenze o stilare un elenco di buoni e cattivi. La sua presa di posizione invece mi sembra eccessivamente acrimoniosa e superficiale, visto il modo di cui parla -ad esempio- dei musulmani. Le consiglio di documentarsi: in edicola può trovare moltissimo materiale interessante in questa settimana.

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