Vietato lamentarsi. Ogni anno, in una delle prime lezioni, quando il vocio o la distrazione indotta dalla protesi (=lo smartphone) aumenta più del dovuto, arriva sistematicamente la paternale “ricordatevi che siete privilegiati! La gran parte dei costi per la vostra alta formazione viene attinto dalla fiscalità generale! L’Università ve la pagano anche quelli che non la frequentano e si spezzano la schiena in qualche lavoro pesante”. A maggior ragione oggi, per coerenza e per rispetto a quanti hanno perso il lavoro, la salute, la vita, la cosa da non fare è lamentarsi. Questa premessa mi sembra necessaria.
Lo shock della chiusura. In pratica, il mio lavoro non si è mai fermato. Non posso negare che un minimo di dimestichezza tecnologica, mio e degli studenti, abbia concesso un vantaggio; e così, già all’indomani del DPCM, ci sono state le prime videochiamate informali. Era un modo per tener vivi i contatti con studenti, del primo anno, che avevo conosciuto da appena una settimana. Sottovalutavamo l’impatto dell’epidemia e mi ero prefisso un obiettivo minimale: non perdere le lezioni; finire entro maggio, come se niente fosse successo; esami come da calendario e … non rovinarsi le ferie. Ho allestito subito una lavagna davanti alla webcam. Pur con lezioni frontali ad un elevato numero di studenti, quello del docente universitario è già ordinariamente un lavoro solitario; oggi posso solo sperarlo che gli studenti abbiano riconosciuto l’impegno fin dal primo giorno. Il 10 marzo, appena cinque giorni dopo il DPCM, ho tenuto la prima lezione da casa.
La teledidattica. In breve tempo tutto l’Ateneo è andato a regime. Per quello che mi riguarda, 90 e più studenti collegati; pure le domande durante la lezione. Tutto regolare, ma solo in apparenza. La lezione ha sempre un che di teatrale, preparato, e poi un affinamento in diretta, calibrato sull’interazione di chi ascolta. Con 9 ore di lezione a settimana, molti volti avrei imparato a riconoscerli. Ora, invece, faccio lezione seduto, davanti a un monitor pieno di cerchietti con le sole iniziali, che lampeggiano quando lo studente prende la parola: una cosa psicologicamente impegnativa. Ho provato ad accennare “Potete accendere le webcam”; non hanno capito, o hanno fatto finta di non capire; non ho insistito. Alla lavagna si vede poco e male, per le tavolette grafiche manca la pratica. Insomma, la tecnologia non è ancora del tutto adeguata, specialmente per questa situazione, con l’insegnamento trasmesso da casa, con mezzi e attrezzature quasi amatoriali.
La questione di sistema. Col passare dei giorni abbiamo capito l’entità del problema. Tutta la formazione superiore andrà ricalibrata, almeno per sei mesi. Un rallentamento potrebbe far riprendere fiato a un bel po’ di studenti che sono rimasti indietro. Contemporaneamente, se in questi mesi vogliamo insegnare, siamo sfidati a discernere l’essenziale, sapendo che la cultura vera spesso si consolida grazie al di più, apparentemente inutile. Magari questa digitalizzazione forzata ci lascerà un’eredità di servizi più agili, anche nel sistema della formazione; ma è un tema delicato, da trattare con prudenza. Perché non tutto si può convertire in teledidattica: gli insegnamenti pratici, laboratoriali, quelli sul campo o in corsia; e, spesso, sono proprio questi gli insegnamenti che caratterizzano i percorsi formativi, così come i tirocini e l’internato. Senza contare il lato umano, i rapporti sociali nei luoghi …
Lo stress degli esami. Nota dolente sono stati gli esami, anch’essi a distanza: non solo la cerimonia delle lauree, ma anche gli esami di profitto. Il Paese avrà bisogno di professionisti, giovani donne e giovani uomini sono quasi pronti per entrare come energie fresche, dunque non potevamo rallentare troppo. D’altra parte, come docenti, siamo esitanti: la valutazione “a distanza” non ha precedenti e protocolli consolidati. Le circostanze sono eccezionali, ma non possiamo neppure stravolgere i criteri adottati fino a due mesi fa e che, nei nostri auspici, torneranno presto in vigore. Fatto sta che, al primo giorno di questi “nuovi” esami, ero io agitato, come un docente alle prime armi.
La trasparenza nell’incertezza. E così, alla ripresa dopo Pasqua, ho tenuto un discorso fuori programma: “stiamo sulla stessa barca, navighiamo a vista, speriamo per settembre …, nel frattempo …” Uno sforzo di trasparenza, ed insieme una confessione di debolezza, di non pieno controllo della situazione; per cercare di affrontare tutti, al meglio, questa situazione imprevista. Stavolta sono sicuro: hanno capito, hanno apprezzato.
L’Università in casa. La situazione di empatia, probabilmente, trae forza anche dal disvelamento domestico. In occasione delle lezioni gli studenti “entrano” in casa mia e vedono i cuoricini che mia figlia disegna sulla lavagna (e che ho cura di non cancellare). Simmetricamente, in occasione degli esami ho “visitato” le case di molti studenti: camere di ragazzi, cucine, salotti, anche un box/garage. Potrebbero essere miei figli; pur guardando con discrezione, qualche dettaglio sullo sfondo finisco per notarlo, con simpatia. Sono certo che, con questo inatteso incrocio di sguardi familiari, l’Università qualcosa l’abbia guadagnata.
Post Scriptum. I primi appunti per questo articolo, preparato per il settimanale diocesano Luce e Vita, risalgono all’ultima decade di aprile, quando eravamo ancora in fase 1. Siamo oggi in una fase 2 che assomiglia tanto alla fase 3 o 4; dunque, una postilla è d’obbligo.
Il “vietato lamentarsi”, in coscienza, continua ad essere valido: pesante è stata la prova, e non è stata uguale per tutti. D’altra parte, i comportamenti “disinvolti” degli ultimi giorni stridono con questo grosso sacrificio chiesto al sistema dell’istruzione e, con esso, alle famiglie: la promiscuità che vorremmo evitare nelle aule, di fatto, la viviamo per strada.
Gli studenti. Mentre il semestre volge al termine, in aula “virtuale” mi sembra di osservare il calo fisiologico di presenze, calo forse leggermente inferiore a quello registrato negli anni scorsi, in aula “fisica”. La partecipazione è rimasta attiva, anzi si sono rimpolpate le presenze al ricevimento studenti. Continuo a “vedere” un atteggiamento collaborativo nello svolgimento delle lezioni. Uno studente mi ha suggerito una significativa miglioria sul piano tecnico e, quando fatto una convocazione last-minute per le prove, in orario decisamente extra-accademico (le 22:30), ho avuto una ventina di volontari!
E così questo diario è giusto dedicarlo a loro, i miei studenti invisibili del corso A di ITPS.