Chi sono i buoni?

«Sì, vabbé, ma che significa "misericordia"?». Risponde la collega, col tono di chi dice una cosa ovvia: «vuol dire che dobbiamo essere buoni, no?»
14 Dicembre 2015

Dice il collega, parlando del giubileo: «sì, vabbé, ma che significa “misericordia”?». Risponde la collega, col tono di chi dice una cosa ovvia: «vuol dire che dobbiamo essere buoni, no?».

La risposta non è esatta, ma ha una sua efficacia. E comunque lui si ritiene soddisfatto: è rassicurante che ci sia un anno dei buoni, vuol dire che i buoni esistono ancora. O almeno è bello crederci, in barba ai terroristi, ai politici corrotti, alle Chaouqui e ai venti di guerra.

“Misericordia”, intesa come amore e attenzione per i poveri e per chi soffre, è una parola impegnativa. “Buono” è una parola apparentemente più light: la usano tutti, tutti i giorni e in tutti i contesti. Ma se ci chiediamo che cosa significa, scopriamo che è meno scontata di quello che sembra.

Ricordo che, quando ero ragazzina, “L’è bon, l’è bon… “, detto scuotendo un po’ la testa, voleva dire che uno era un po’ tonto, un po’ troppo forse. A me i grandi raccomandavano di essere buona, e speravo che non lo dicessero con lo stesso significato, anche se un po’ tonta mi sono sentita spesso.

Il fatto è che “buono” è una parola che sfugge. Per esempio, se la usi come aggettivo cambia significato a seconda della parola a cui lo accosti: un buon libro è quello che ti fa capire qualcosa e quindi ti fa crescere, una buona mela è quella che ha un buon sapore. E questo non esclude che possa essere cattiva perché contiene un cuore velenoso, come la mela di Eva, la quale aveva visto che «l’albero era buono da mangiare», ma non sapeva quanto possono far male le cose buone.

La parola “buono” cambia significato anche se la metti prima o dopo la parola a cui si riferisce: un uomo buono è uno che fa del bene, mentre un buonuomo è uno onesto, ma un po’ sfigato. Una vita buona è quella che si ispira a valori positivi, una buona vita è quella senza grandi dolori e preoccupazioni. E poi, anche sul fatto che un uomo buono fa del bene ci sarebbe da puntualizzare, perché secondo molti è sufficiente non far male agli altri per potersi fregiare dell’etichetta di “buono”. Ma non far male a nessuno è essere buoni o essere indifferenti?

Dire che uno è “buono” implica un giudizio. Facile, se – come tanti – considero buono chi la pensa come me. Un po’ più difficile se cerco di oggettivare. In situazioni di conflitto o di guerra, chi tra i contendenti è quello buono? Mah, il più delle volte è già difficile capire se c’è qualcuno meno cattivo dell’altro.

Ci sono poi tutti quei casi in cui la parola “Buono” acquista un significato negativo o di insulto. Se il buonuomo, come abbiamo visto, è uno un po’ minchione, la buonadonna è una che ha adottato facili costumi, mentre chi se ne è rimasto buono buono davanti a una prevaricazione è un debole.

Insomma, questi non sono tempi buoni, per i buoni. La bontà è perdente in culture basate sulla concorrenza. Se è un valore, non è riconosciuto come tale dai più (in tempi di precarietà e crisi conta di più la furbizia). Non ha rilevanza pubblica (trovatemi un politico che vince le elezioni perché è buono). Non è un buon motivo per sposare un uomo o una donna (a meno che non sia di buona famiglia), né per diventargli amico.

Verrebbe quasi da prendere alla lettera la domanda di Gesù: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo» (Mc. 10,18).

Eppure abbiamo bisogno di sapere che ci sono persone buone e quando le troviamo le esaltiamo, le portiamo ad esempio, le lodiamo sugli altari laici di oggi, cioè i mezzi di comunicazione sociale. I volontari che spalano il fango dopo un’inondazione. Lo straniero che trova un portafoglio bello gonfio e lo restituisce. Il carabiniere che rischia la propria vita per salvare uno che stava per annegare. Il padre che riesce a parlare con pacatezza al funerale della figlia, assassinata in una città lontana… Ne abbiamo bisogno, li amiamo, li chiamiamo angeli, come se chiamarli uomini buoni fosse restrittivo.

Abbiamo bisogno di vedere che esistono persone buone e abbiamo bisogno di sentirci buoni noi, per essere in pace con noi stessi. L’anno della Misericordia potrebbe servire anche a questo: a ripensare a cosa significa essere buoni e a quanto sia importante cercare di esserlo.

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