Cattolici in politica? Il coraggio di andare controcorrente.

Fermo il contributo offerto dai politici cattolici alla nascita e allo sviluppo della nostra democrazia, si tratta di continuare a ripensare la loro presenza nell'attuale scenario politico
4 Settembre 2021

Quella fra cattolici e politica è una delle relazioni più significative, stimolanti e criticate all’interno, e all’esterno, del mondo cattolico. Di questo tema discutiamo con Franco Monaco. Fra i fondatori dell’Ulivo e già parlamentare del Partito Democratico, Monaco è stato presidente sia dell’Azione Cattolica ambrosiana sia dell’associazione politico-culturale “Città dell’uomo” fondata da Giuseppe Lazzati e fra i responsabili dei “Comitati per la difesa della Costituzione” promossi da Giuseppe Dossetti. Di recente, dalle colonne del quotidiano Avvenire, Monaco è intervenuto con una lettera sul tema dei cattolici in politica.

 

Sin dall’unità d’Italia, la relazione fra cattolicesimo e politica ha caratterizzato la maturazione della nostra comunità nazionale. Dal “non expedit” di Pio IX al Partito Popolare di Sturzo, dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi all’attuale disseminazione dei credenti in tutti, o quasi, i partiti dell’arco costituzionale; la storia del cattolicesimo politico italiano è ricca di personaggi e contenuti. Oggi, cosa significa impegnarsi in politica da cristiani?

Effettivamente, abbiamo alle spalle una storia “alta”, ancorché intessuta di luci e di ombre, che un po’ intimidisce. Ma che va storicizzata quando si stabiliscono confronti talvolta ingenerosi con un presente nel quale il cattolicesimo politico in senso lato pesa meno. Anche e soprattutto perché, semplicemente e radicalmente, pesa meno socialmente il cattolicesimo tout court. E la sua temperatura spirituale non è incandescente …. Domanda impegnativa quella di ciò che significhi impegnarsi in politica da cristiani. Esigerebbe un trattato. Mi limito a tre spunti: 1) coniugare radicalità evangelica e mediazione storico-politica, cioè l’opposto del moderatismo insipido e dei cortocircuiti confessionali che non distinguono tra principi etici e prassi politica; 2) ispirazione cristiana e laicità della politica ovvero ancoraggio a una visione cristiana del mondo e cordiale senso di appartenenza alla città dell’uomo, alla casa comune, che propizi una leale e fattiva collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà; 3) coraggio di andare controcorrente specie rispetto a una politica che si contenta di inseguire il facile consenso, anziché qualificarlo e orientarlo con persuasive proposte. Non che lo cerchino, ma i cristiani devono mettere nel conto che si può anche perdere.

 

Per lunghi decenni la Democrazia Cristiana ha rappresentato il perno centrale della politica italiana capace di evitare l’alternanza di governi di destra o di sinistra. Nell’odierno scenario, molti sostengono che simile coppia oppositiva sia da relegare al passato poiché la politica del presente e del futuro si radica su nuovi paradigmi. A suo parere, è ancora opportuno parlare di destra e di sinistra? In questo dibattito la lezione proveniente dal popolarismo sturziano e dal cattolicesimo democratico può dirci qualcosa?

Continuo a pensare, a dispetto di certi luoghi comuni, che destra e sinistra non siano riferimenti desueti e che, ancora oggi, valga la sintesi di Bobbio: la dialettica tra enfasi posta sulle differenze (naturali e sociali) piuttosto che sull’uguaglianza. Del resto, se quella coppia resiste da due secoli e mezzo (dalla dislocazione nell’Assemblea nazionale francese dopo la rivoluzione) significherà pure qualcosa. Sono cambiate le forme, ma il conflitto sociale e di riflesso politico non sono svaniti. Di più: la competizione tra offerte politiche alternative è il sale, la sostanza delle democrazie. Certo, destra e sinistra vanno sempre storicamente situate e ridefinite. Diffido di un certo terzismo e della ipostatizzazione del centro (concetto sempre relativo ai supposti estremi: non sempre e di necessità la virtù sta nel mezzo). Spesso vi corrisponde, specie tra i cattolici, un ingenuo “perfettismo”, qualche volta l’opportunismo. Il popolarismo e il cattolicesimo democratico (da distinguere) hanno spesso incrociato le armi con la sinistra, ma ancor più hanno fissato un argine insormontabile a destra: Sturzo fu fiero antifascista e altresì marcava le distanze dai cattolici conservatori (“fossili” li definiva), De Gasperi definì il suo partito come “un centro che muove verso sinistra”.

 

Nel nostro Paese, come in quelli limitrofi, da diverso tempo le politiche della sinistra sono caratterizzate da una grande attenzione al riconoscimento e alla tutela dei diritti individuali. Non c’è la possibilità di dimenticare le battaglie per la difesa e la promozione dei diritti sociali con il rischio di una strumentalizzazione degli stessi da parte dei vari populismi? In tal senso, i cristiani vicini ai partiti e ai movimenti della sinistra quale contributo possono offrire?

La mia letterina ad Avvenire ha avuto un’eco che non immaginavo. Segno che si tratta di un nervo scoperto. Segnalavo una preoccupante deriva culturale a sinistra, che non è di oggi ma che si va acuendo, di stampo individualistico-radicale e che conduce a una enfasi sui diritti civili (essenzialmente individuali) a discapito dei diritti sociali e del lavoro. Il che concorre a spiegare il divorzio della sinistra dai ceti popolari e il suo confinamento, come usa dire, nel ridotto delle aree ztl. Una deriva e un divorzio che rappresentano una sorta di deragliamento rispetto al suo retaggio storico e al suo statuto ideale. Ma non vorrei essere frainteso: il mio campo resta quello della sinistra o, per gli schizzinosi, del centrosinistra. Lì ho condotto le mie battaglie interne ed esterne. Di più: colpa anche nostra, dell’afonia sin quasi all’eclissi della sinistra sociale cristiana, del deficit di rappresentanza politica dell’universo sociale bianco: sindacato, cooperazione, volontariato, associazionismo. Forse frutto anche di venticinque anni di mortificazione dell’autonoma responsabilità del laicato cattolico impegnato, surrogato dal protagonismo dei vertici ecclesiastici. Un depauperamento del quale non si viene a capo in un giorno.

 

In un recente incontro con i parlamentari cattolici provenienti da diversi Paesi, papa Francesco ha ricordato – ancora una volta – che il compito dei credenti in politica è quello di “rinnovare integralmente le loro comunità e la società intera”. Secondo lei il magistero di Bergoglio, caratterizzato dall’opzione della “Chiesa in uscita”, quale apporto offre alle nostre comunità in merito all’impegno dei cattolici in politica?

Quello di Papa Francesco è uno stimolo prezioso. Meglio: una scudisciata. Le sue parole, i suoi aforismi spesso originali e persino bizzarri, le sue metafore sono taglienti come spade. Ma egli ci ha fornito di più: un orizzonte, una visione metapolitica che tuttavia influisce eccome sulla politica. Penso in particolare alle sue dense encicliche sociali, la “Laudato si” e la “Fratelli tutti”, con i loro due rispettivi fuochi tematici: il nesso organico tra questione sociale e questione ambientale e la bussola della fraternità universale. Una miniera di spunti. Tra i tanti del suo magistero sociale, che attingono anche alla sua biografia, ne segnalo telegraficamente quattro: un punto di vista finalmente non angustamente euroccidentale; la limpida distinzione nelle responsabilità tra gerarchia e laicato nell’animazione delle realtà temporali; il nesso stretto tra profezia e politica, un binomio che non è un ossimoro; la sensibilità per il contributo dei movimenti genuinamente popolari quali attori del cambiamento sociale e politico.

 

3 risposte a “Cattolici in politica? Il coraggio di andare controcorrente.”

  1. Teresa Benedini ha detto:

    In politica personalmente preferisco politici che non dichiarano la loro appartenenza religiosa. In politica si applica la Costituzione non il Vangelo. Persone preparate, competenti, oneste , dallo sguardo ampio , vasto e lungimirante . Il Bene del Paese al primo posto, che poi risulti il Bene dei cittadini. Attenti e rispettosi delle varie esigenze e bisogni. Sensibili ai problemi delle persone e nello stesso tempo capaci di andare controcorrente non per il credo religioso , ma per il Bene di tutti.
    Il politico cattolico deve essere riconosciuto per la sua preparazione , competenza, lungimiranza , scevro da ogni compromesso con le autorità religiose per un tornaconto elettorale o personale.
    Insomma …un politico dovrebbe essere stimato per la sua capacità e onestà…..per essere poi riconosciuto come cattolico credente.

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Ma quali sono oggi i politici cattolici? Il semplice cittadino ha memoria di coraggiosi ma esistiti nella memoria del passato; nel presente l’orientamento che prevale nella società in quanto a etica della salute, solo dal Papà, dal Presidente della Repubblica si sono udite argomentazion che hanno fatto chiarezza sul perché è importante vaccinarsi; superare la propria renitenza, una decisione da vero spirito libero che si considera responsabile verso se stesso ma anche nei confronti del prossimo. L’assuro e soggiacere al dominio di questa piaga pandemica .che indiscriminatamente e sotto ogni cielo colpisce l’umanità intera e sembra assurdo invocare libertà di non fare uso dello strumento vaccino per arginare è sognare di liberarci da questo che sembra un flagello sociale tanto ha distrutto e scompigliato la vita sociale , in tutti i suoi ambiti.Questa e l’unica libertà che andrebbe perseguita da cattolici e non, impegnati nel salvare il bene primario, la vita di tutti

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Non vedo chiaramente quale posizione dovremmo assumere non solo sui temi civili ed etici-personali, ma anche sulla pressione degli immigrati, sul divario economico crescente, sullo spostamento fuori dall’Italia di attività, sul reddito di cittadinanza, sulle guerre x conto terzi, su Amazon e le multinazionali.. ecc.
    Ah, dimenticavo: un cero Cattolico ha preso posizione chiara, forse l’unico.
    Dal nome Francesco.
    Cerrrto non ha ussto le vostre belle parole forbite.

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