Cattolici e politica: questione di stile

Un cattolico è in politica perchè ha un mandato dalla comunità ecclesiale? O vi è perchè i suoi valori e la sua competenza lo spingono ad assumersi questo servizio? Non è la stessa cosa.
21 Gennaio 2013

 Ringrazio Lorenzo M. per il suo commento al post di R. Beretta sulla sua candidatura, perchè mette a fuoco il problema centrale, secondo me di un cattolico in politica. Un cattolico è in politica perchè ha un mandato dalla comunità ecclesiale? O vi è perchè i suoi valori e la sua competenza lo spingono ad assumersi questo servizio? Non è la stessa cosa.

Se vale la prima allora è chiaro che la comunità ecclesiale è garante delle scelte e dei modi di queste che il politico eserciterà. E perciò il politico non potrà che essere il rappresentante “in politica” della Chiesa. E nella Chiesa ovviamente il ruolo di definitore della linea di politica da tenere spetta al magistero. Perciò di fatto il politico cattolico è la “longa manus” del magistero, nulla più e nulla meno. E questo nasconde l’idea che il magistero è l’essenza della Chiesa, i laici sono solo degli esecutori. Il vescovo ha la somma di tutti i carismi possibili e, solo perchè non può di suo arrivare a tutto da solo, viene “sostituito” da un suo “mandato”, che però esegue quello che lui dice. Sto estremizzando, ovviamente, ma solo per far capire meglio. Di fatto molti politici cattolici sono così. 

L’altra forma invece prevede che la responsabilità sulle scelte e i modi di queste che il politico eserciterà è rimandata alla coscienza del politico. Che nella comunità ecclesiale trova il luogo per formarsi e verificarsi, ma ha una sua autonomia politica che gli viene dalla sua competenza specifica e dalla sua esperienza umana, che gli fa “percepire” nel qui e ora” più importante una scelta piuttosto che un’altra. In questa logica la Chiesa deve offrire strumenti e luoghi di formazione, sostegno, confronto, verifica. Il vescovo in questo caso ha il carisma della somma, cioè è tenuto a “tenere” insieme nella Chiesa le varie prospettive di scelte politiche che possono essere generate dalla medesima fede cattolica. 

Ora, cosa è successo in Italia? Il papa e i vescovi italiani, aderendo alla seconda prospettiva ecclesiale che è derivazione del Concilio, avevano scelto la strada della definizione dei valori non negoziabili come criterio per dire dove stava il confine tra un cattolico e un non cattolico in politica, essendo chiaro che una formazione politica “targata” cattolico non poteva più avere spazio in Italia. Come a dire, cattolico in politica è chi sostiene questi valori, che in origine tentavano davvero di coprire tutto il ventaglio della vita umana dalla nascita alla morte, passando per il lavoro, le tasse e la giustizia sociale. Cosa che il papa nel discorso della giornata della pace ha perfettamente ripreso. 

Ma ciò di cui nella Chiesa non ci si è accorti a sufficienza è che nel frattempo la società italiana è profondamente cambiata, frantumandosi in una miriade di lobby che non hanno nessun interesse a cercare un accordo di sintesi, ma solo quello di avere il maggior potere possibile per garantire la propria parte. E in parallelo, e non a caso, pure l’equilibrio ecclesiale è cambiato, spostandosi a favore di una ecclesiologia del primo tipo, che sembra oggi essere più in auge, perchè più vicina alla logica dello scontro culturale, della parte contro l’altra. 

E così facendo non ci si è accorti che l’applicazione concreta dei valori non negoziabili non rimandava più ad una unità di fondo da ricercare attraverso la comunità ecclesiale, ma veniva definita dalla scala personale di questi stessi valori che il singolo vescovo, cardinale, metropolita, aveva, a seconda dei vari livelli della Chiesa. Con la conseguenza che la logica della lobby è entrata perfettamente anche nella dinamica della Chiesa. E inevitabilmente ogni singola lettura dei valori non negoziabili è sempre tacciabile, da qualsiasi parte venga, di parzialità. E la Chiesa diventa nella società una lobby tra le altre.

Ora proprio questa deriva segnala la carenza di visione che la Chiesa continua ad avere seguendo in questo modo l’applicazione dei valori non negoziabili. Cioè che il distintivo del cattolico in politica si debba giocare solo sul piano dei contenuti. E non si vuole negare che sia anche così! Ma si vuole dire che oltre ai contenuti c’è il modo, il metodo. E su questo non è vero che la nostra fede è indifferente. Basterebbe smettere di guardare il proprio ombelico e leggere un po’ di più la bibbia per vedere che per Gesù il metodo, il come si fanno le cose è altrettanto importante, se non di più, di cosa si fa. (solo a mo’ di esempi: Mc 7,6; Gv 4,23; Gv 13,35; Mt 20,26; 2 Cor 4,2; 1 Pt 3,16; Eb 10,22; At 23,1; Sir 37,14; Gb 27,6)

E che se non smettiamo di infognarci solo sui contenuti non ci caveremo da una condizione in cui la nostra predicazione sui valori non negoziabili non può venir ascoltata perchè resa, da noi stessi, in un modo che segnala immediatamente il loro uso “di parte”. E credo che il servizio maggiore alla condizione politica italiana, che la Chiesa potrebbe rendere, sarebbe proprio quello di segnalare un modo diverso di stare in politica, e non solo dei contenuti da difendere. Come sottolineava Giorgio Bernardelli nel suo post “A quelli che scoprono la Francia” dove i tre aspetti che danno forza alla manifestazione di Parigi contro le nozze gay sono aspetti di metodo e non di contenuto.

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