All’indomani delle dimissioni del direttore dell’Agenzia dell’Entrate Ernesto Maria Ruffini è iniziato all’interno di una parte del mondo cattolico una sorta di “tam-tam” mediatico circa la presenza e il ruolo dei credenti nella politica del nostro paese. In alcuni quotidiani, attraverso interviste ad esperti e riflessioni di studiosi, si è persino profilato – più o meno direttamente – Ruffini come una di quelle figure in grado di federare il variegato mondo di quel che resta del cattolicesimo democratico italiano. Di certo non dobbiamo stupirci del lavoro dei quotidiani, dei blog e dei magazine che avanzano ipotesi e percorsi con una velocità e inattualità necessarie ad un mondo dell’informazione più propenso a produrre le notizie anziché a discernerle all’interno di una cornice temporale e di senso. Tuttavia la vicenda congiunta ad una personalità significativa del mondo cattolico come Ruffini ci invita ancora una volta a ripensare – nel seno di questo frangente storico – alla relazione fra cattolicesimo e politica.
Appare evidente come il magistero, in particolar modo quello sociale, di papa Francesco spinga sia ad un’attenta rilettura delle sfide politiche della contemporaneità attraverso il radicamento nel messaggio del Vangelo sia a superare i cliché ormai desueti connessi alla presenza, all’organizzazione e alla rilevanza dei cattolici in politica. Ad esempio qualche anno fa, in occasione di un incontro con i membri dell’Azione Cattolica Italiana, Bergoglio invitava i credenti ad impegnarsi nella “grande politica, quella con la P maiuscola” la quale lungi dall’identificarsi con gruppi e correnti di potere da ricostituire e da federare coincide con la rilevanza sociale e pubblica di un’esistenza segnata dall’incontro con il Vangelo di Gesù Cristo.
Come mostra il dibattito a seguito delle dimissioni di Ruffini, diversi cattolici italiani agitano una presenza nello spazio pubblico – con gli stessi strumenti del secolo scorso – all’interno di un panorama che è mutato per via della fine del mito della cristianità italiana ed europea. Ciò non vuol dire che il messaggio cristiano non sia più in grado di mettere in luce le contraddizioni della politica rispetto alla giustizia desiderata da Dio per gli uomini. Significa, invece, che non basta più richiamarsi alla storia e alle gloriose identità del passato poiché oggi anche in politica – come acutamente scrivono gli autori del volume La comunione che viene. Giovani, politica e fede. Quaderni (Paoline, 2022) – i cattolici non devono essere ma «amare, che viene prima dell’essere; non devono affermarsi, ma anzitutto ascoltare; non devono difendersi da qualche nemico, ma aprire». Probabilmente, per i cattolici in Italia, amare prima che essere potrebbe significare tanto la fine di ogni illusione congiunta alla ricostituzione di partiti, o di correnti all’interno di quelli già esistenti, quanto il cercare di testimoniare la carità politica accettando, una volta per tutte, la complessità e la pluralità dell’evo contemporaneo. In tal senso anche la celeberrima questione delle “radici cristiane” andrebbe ripensata – come ha fatto molto bene nel discorso di fine anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in merito al concetto di patria e di patriottismo – in quanto condizione di disponibilità, apertura e incontro nei confronti di qualsiasi prossimo.
Inoltre bisogna ribadire che anche all’interno di uno scenario mutato per cultura e organizzazione, la perenne novità del Vangelo dell’uomo-Dio crocifisso e risorto conserva tutta la forza e la freschezza per valutare e orientare il piano politico ed economico. Difatti la fede non potrà mai divenire consolazione che distrae dall’edificazione della città degli uomini. Allora prima di tentare metodi organizzativi o di offrire soluzioni progettuali sarebbe il caso di tornare a ripensare e a riconsiderare la forza del Vangelo in grado di desacralizzare i poteri umani, di relativizzare le epoche passate e di orientare al giusto modo le speranze per il futuro.
Ne deduciamo che la vocazione dei credenti attivi nel mondo, e in politica, non potrà più coincidere con il mantenimento e la riproposizione di un deleterio, ingiusto e a volte disumano ordine sociale ma di “rifare” il mondo. Per far ciò P. Coltrat, F. Giuliani e A. Waeles – i tre giovani autori francesi del volume citato in precedenza – ci suggeriscono di superare l’immagine della diga o del baluardo chiamati a trattenere per tutelare i limiti e di provare a divenire correnti capaci di rifare, insieme a tutti gli uomini e a tutte le donne, il mondo. Nell’anno del Giubileo ordinario sulla speranza, e all’interno del tempo speciale del cammino sinodale, come cattolici italiani siamo chiamati insieme a lavorare e a confrontarci anche per la ricerca di nuovi modi di stare nella politica da credenti.
Giacché Gesù Cristo e’ la Parola incarnata, ogni uomo di Fede diventa suo missionario nella vita quotidiana. Alle Rielezione del nuovo Presidente americano ha stupito il comune cittadino udire esprimere radicata Fede in Dio, con citazioni dal Sacro Libro. Un altro esempio: la Rev. Bishop nella funzione celebrata in Chiesa con precisa e garbata rispettosa fermezza ha rivolto al Presidente rilievo circa l’intendimento di firmare il rimpatrio di persone che vivono da cittadini non riconosciuti, senza permesso di soggiorno, e come tale espulsione non rispetterebbe la legge divina e non sarebbe conveniente in quanto quei lavoratori svolgono tanto lavoro utile in umili mansioni pagando le dovute tasse. Un esempio di come sembri assente negli ambiti del variegato mondo della politica risolvere vertenze anche attingendo da quelle Scritture per soluzioni mirate a “bene comune”