L’Iraq e la tappa più impegnativa

Sogno un po' meno retorica intorno ai viaggi di Francesco. Per lasciarci scuotere davvero
10 Marzo 2021

Il Papa in preghiera in mezzo alle macerie. Le armi che per tre giorni sembrano lontane, le vittime innocenti dei conflitti che ritrovano un po’ di speranza. E le parole di Franceso più forti di ogni barriera religiosa, etnica o politica: “Siamo fratelli: diciamo no alla violenza nel nome di Dio”. Il messaggio dello straordinario viaggio di Francesco in Iraq Elena Dini e Marco Pappalardo l’hanno già sottolineato come merita su VinoNuovo. Resta, però, una domanda un po’ impertinente che secondo me – proprio per non banalizzare questo evento così importante – oggi non possiamo evitare: questa stessa scena non l’abbiamo già vista?

Era il novembre 2015 e anche quel viaggio era sembrato a tutti impossibile. Un’idea non meno dirompente di un viaggio in Iraq: andare ad aprire la prima Porta Santa di un Giubileo in un Paese africano sconvolto da un’altra guerra. Sì, anche quello di Papa Francesco a Bangui nella Repubblica Centrafricana per tutti noi fu un viaggio “storico”. Una profezia di pace in una terra dilaniata dall’odio. Ecco: cinque anni dopo come è finita? Che cosa è rimasto nel nostro cuore di quella profezia? Nonostante il coraggio di tanti leader religiosi locali che continuano a tener vivo quel messaggio, la Repubblica Centrafricana è sprofondata di nuovo nel suo baratro. Nell’indifferenza del mondo.

E vogliamo parlare del Myanmar dove esattamente due anni dopo la buddhista Aung San Suu Kyi salutava Bergoglio citando la preghiera semplice di san Francesco, con i generali a osservare rispettosamente la scena? Anche lì vediamo bene in questi giorni che cosa sta accadendo.

Non è questione di fare i guastafeste, ma di provare a fare i conti davvero con la sfida che questi viaggi di Papa Francesco portano con sé: sinceramente faccio sempre più fatica a reggere le tonnellate di retorica che accompagnano i racconti in diretta di questi eventi. Il successore di Pietro venuto dalla fine del mondo passa e immancabilmente succede il miracolo: l’Isis che voleva conquistare Roma è sconfitta dall’uomo vestito di bianco planato su Mosul. Peccato solo che tenda a durare un po’ troppo poco…

Penso che il primo a essere infastidito da questa melassa sia proprio Francesco, che è tutto tranne che un ingenuo: lui sa che le parole che pronuncia sono impegnative; vede le contraddizioni intorno. Anche in questi giorni non ignorava certo che tra le “autorità” che lo attendevano nella sala del Palazzo presidenziale a Baghdad c’erano persone con le mani sporche di sangue. Che a Ur dei Caldei, la terra di Abramo, gli ebrei oggi non possono essere presenti. Che per tanti giovani a Erbil la speranza è un visto per l’America anziché il ritorno nella Piana di Ninive. Ma essere “in uscita” non significa avventurarsi anche qui? Senza la pretesa di fare magie, ma solo lasciandosi guidare dalla forza del Vangelo.

C’è una parola che più di ogni altra mi ha colpito in questo viaggio: Francesco ha ripetuto più volte di essere giunto in Iraq come “penitente” oltre che come “pellegrino di pace”. Ecco, forse se vogliamo dare a queste giornate un seguito un po’ diverso rispetto alla retorica è da qui che dobbiamo ripartire nei nostri bilanci. Dalla consapevolezza che c’è una conversione che è richiesta non solo a chi vive in quei Paesi. Perché la tappa più impegnativa è quella che comincia il giorno dopo, quando la Papamobile è ormai tornata in garage a Roma. Quell’Iraq di cui ci siamo a lungo dimenticati – al punto di convincerci che la guerra degli anni Novanta e quella del 2003 non c’entrino nulla con quanto accaduto dopo – avrà ancora un posto nel nostro cuore domani, quando le condivisioni social e i retweet delle immagini del Papa saranno finiti? Oppure finiremo per consumare molto presto anche questa pagina “indimenticabile” di storia?

Pochi l’hanno osservato, ma forse non è un caso che questo viaggio sia avvenuto proprio nel cuore della Quaresima. E’ inutile farsi illusioni: non è finita la Via Crucis dei fratelli dell’Iraq. Sta a noi decidere se vogliamo continuare a camminare insieme a loro nel mistero della Pasqua. Perché da quelle macerie la vita possa rinascere davvero.

6 risposte a “L’Iraq e la tappa più impegnativa”

  1. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Quando uno per esaltare se stesso non trova niente di meglio che buttare letame addosso agli altri è da com-patire. Soprattutto se lo fa istigato dalla organizzazione cui appartiene!! Ecco xché come cristiano sono il primo a criticare la CC e a dire agli esterni :
    ” Io di ns malefatte ne conosco di più di te!’ Ecco xchè evito appartenenze a congreghe; io appartengo solo a Cristo.

  2. Giuseppe Di Melchiorre ha detto:

    Papa Francesco ha dimostrato che il cristianesimo è sicuramente più bello e significativo dei mussulmani che per guadagnarsi il loro paradiso debbono ammazzare gli altri e lo hanno dimostrato proprio in Iran. Gesù è davvero DIO, ma Allah non esiste! Io tutte le mattine prego per Papa Francesco, per la sua persona e per la sua Missione.. Lo apprezzo moltissimo anche per il suo impegno contro il cambiamento climatico. VIVA PAPA FRANCESCO!!!!
    Giuseppe Di Melchiorre che ha scritto il libro “La vera Vita di Miryàm, la madre di Yeshùa”, stampato da BookSprint Edizioni.
    Giuseppe Di Melchiorre

    • gilberto borghi ha detto:

      Esaltare papa Francesco e colpire i musulmani è proprio una bella contraddizione visto ciò che Francesco ha scritto e detto. Non credo che lui ne sarebbe contento. Ma temo che se la motivazione del commento è la pubblicità del libro allora si comprende…

  3. Maria Teresa Pontara Pederiva ha detto:

    C’è anche la retorica di troppe parole dette e soprattutto scritte, quasi fosse un obbligo … meglio la cronaca, decisamente.

  4. Dario Busolini ha detto:

    Dura certamente troppo poco ma, almeno per quel poco, dura e i popoli più crocifissi che vengono visitati dal papa hanno se non altro un attimo di respiro e di visibilità mondiale che, per quanto effimero, è sempre meglio di niente. Anche a me da fastidio l’eccesso di retorica che accompagna i viaggi di questo papa come dei papi precedenti, fino al punto che nemmeno durante la trasmissione della messa certi telecronisti/opinionisti riescono a tacere o almeno a limitarsi a raccontare ciò che succede invece di dire tutto ciò che gli passa per la testa. Temo, però, che da una parte la necessità di pompare le notizie per conquistare audience imponga oggi un linguaggio esagerato anche quando si tratta di Chiesa e dall’altra che la retorica ecclesiale sia una tradizione talmente vetusta da potersi difficilmente abbandonare. E poi come si fa a pensare che un Paese dovrebbe cambiare dopo un viaggio papale se il mondo intero resta quello che è dopo duemila anni di cristianesimo?

  5. Gian Piero Del Bono ha detto:

    A me invece e’sembrata retorica tutta l’enfasi su i “figli di Abramo”. Prima di tutto perche’mancavano del tutto i figli primogeniti di Abramo, i discendenti del patriarca che lascio la Mesopotamia per trasferirsi nel paese che oggi e’la Palestina. cioe’ gli ebrei. In Iraq gli ebrei non ci sono piu’da anni, sterminati, cacciati, fuggiti, visti come fumo negli occhi dai musulmani sciiti che considerano ancora piu’ dei sunniti Israele come il grande Satana, che non ne ammettono neppure l’esistenza
    E allora di cosa parliamo? Di una finzione retorica, di belle parole e basta ? Se non si risolve in Medio Oriente la questione israeliana, tutte le parole sui figli di Abramo sono solo pie intenzioni, Si , fratelli tutti, intanto i caccia israeliani bombardano la Siria, mentre ‘Iran con l’appoggio dei Russi combatte per Assad, e per gli sciiti lo stato di Israele non esiste proprio sulla carta mondiale .

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