La guerra vista dai social. E la sfida di disarmarci davvero

In questi giorni di violenza ripenso alla testimonianza di pace del cardinale Martini a Gerusalemme. E a quanto scandalo susciterebbe oggi il suo invito a "stare nel mezzo"
15 Maggio 2021

Ogni volta che la pentola a pressione (alimentata da tanta indifferenza) esplode in Terra Santa, ogni volta che i nostri animi si infiammano di fronte a “questo conflitto che non finisce mai”, non riesco a non pensare alla profonda (e nascosta) testimonianza di pace vissuta a Gerusalemme dal cardinale Carlo Maria Martini all’inizio degli anni Duemila.

Era il tempo della Seconda intifada, che durò quattro lunghissimi anni tra attentatori suicidi che facevano saltare in aria gli autobus pieni di gente e carri armati che entravano persino nei campi profughi. In quel contesto – non meno doloroso di quello di oggi e sfidando l’incomprensione – Martini a chi gli chiedeva un parere su chi avesse ragione o chi torto tra israeliani e palestinesi, rispondeva sempre di aver scelto di lasciarsi guidare a Gerusalemme dalla massima evangelica “Non giudicate e non sarete giudicati”. Aggiungendo, però, che la vocazione del cristiano nel tempo della guerra è quella dell’intercessore, cioè quella di chi si mette fisicamente nel mezzo tra le parti in conflitto, accettandone tutto il rischio per caricarsi sulle spalle le sofferenze degli uni e degli altri e aprire così davvero una strada alla pace.

Ripenso in queste ore alle sue parole osservando ancora una volta il tifo da stadio riesplodere su Israele e Palestina. E – istintivamente – mi viene da ringraziare il Cielo che al cardinale della Parola sia stata risparmiata l’epoca dei social network. Perché lo so che oggi nel mirino dei raid che si consumano sulla rete sarebbe finito anche lui. Me li immagino i post… Sì, certo, “stare nel mezzo”. Eccolo lì, il gesuita buonista che non vuole scontentare nessuno. Come fa a paragonare l’imparagonabile? Non lo vede che la colpa è tutta da quella parte? Ah comunque io me n’ero accorto: il Carlo Maria gioca bene con le parole, tira fuori tante belle citazioni, ma poi… Qualcuno avrebbe certamente colto l’occasione per spiegargli anche un paio di passaggi della Bibbia che – ingenuo – lui non aveva mica capito bene.

Una volta passato lo sconforto, però, ci ripenso. E mi dico: ma se invece fosse proprio il contrario? Se le parole sull’intercessione come via alla pace contenessero un messaggio che proprio il tempo dei social ci aiuta a riportare con i piedi per terra? Non è che queste parole allora le avevamo troppo idealizzate, stregati dal fascino del gesto eroico, senza capire la fatica quotidiana che la sfida della pace comporta?

Seguo da più di vent’anni da giornalista le vicende del Medio Oriente: di fiammate di violenza come quella di questi giorni, purtroppo, ne ho viste e commentate ormai troppe. Ma mi colpisce osservare come – ogni volta – le nostre convinzioni sui torti e sui colpevoli di questo conflitto si facciano più granitiche. Come ogni volta diventi più difficile far capire che in ogni guerra ci sono degli innocenti che muoiono anche dall’altra parte della barricata. I social network aumentano il nostro coinvolgimento emotivo anche in conflitti che avvengono a migliaia di chilometri da casa nostra. E questo è certamente un bene. Ma proprio per questo ci spogliano dell’illusione di essere solo osservatori esterni: anche le nostre reazioni in rete oggi sono parte di quel conflitto. Come possiamo pretendere che la violenza a Gaza o in Israele si fermi se non ci disarmiamo noi per primi?

Stare nel mezzo e lì, facendosi carico delle ferite di tutti, ricercare la giustizia. Questo – in silenzio dalla Gerusalemme celeste – ci esorta a fare ancora oggi il cardinale Martini. Consapevoli che anche questa guerra – tra un giorno, una settimana o un mese – finirà esattamente come tutte quelle che a Gaza l’hanno preceduta: con un cessate il fuoco che non avrà cambiato proprio nulla sul terreno. Ecco: quello sarà il momento in cui dovremo decidere se tra israeliani e palestinesi vorremo ancora metterci nel mezzo, o se riposti missili e caccia bombardieri preferiremo andarcene via, come abbiamo sempre fatto. La possibilità di costruire un futuro diverso, alla fine, si gioca tutta qui.

2 risposte a “La guerra vista dai social. E la sfida di disarmarci davvero”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    ma mi domando, visto il perdurare di scoppi bellici ora qua ora la nel pianeta e le conseguenze, se non sia il caso di far sentire la voce unanime di popolo da tutti i luoghi a dire “basta, NO, in tutte le lingue a permettere la risoluzione dei conflitti con armi in pugno, alla assurdità di costruire mezzi e armi sempre più capaci di creare catastrofi, ambientali e umane. Vera assurdità di fronte a quanto già sperimentato, un nonsenso ricordarlo con cerimonie di contrizione,. Non più credibile perfino le promesse di perseguire la Pace, di ristabilire sicurezza di mirare al benessere di tutti, di parlare di fratellanza, se poi come oggi si assiste ad atti che umiliano l’intelligenza dell’uomo disonora la sua natura per quanto di bello, di buono e di grande è stato artefice, ma che anche va a essere perduto. Il semplice cittadino auspica spera vuole vivere in pace

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Se nel 2001 Papà Giovanni Paolo Ii mando suoi rappresentanti in una Gerusalemme carica di tensioni (le stesse di oggi) è proprio per questo a portare la lampada della Pace” , vie deserte, fucili sui tetti, perlustrazione dell’autobus, clima per il turista inospitale!, oggi questa esplosione diventata incendiaria di rancore, ma sopratutto per il costo di vite umane, sembra richiedere una imposizione di cessare il fuoco inutile al fine di fare chiarezza dei problemi che violano le norme di un vivere civile da parte di tutti. Gerusalemme, città della Pace, e specchio di quanto si sta vivendo in molte altre parti del mondo. Per questo sembra che chi detiene il potere, anche delle Chiese, come sta scritto:”Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza. Forse bisogna che qualcuno si frammetta e alle armi si sostituisca un dialogo ravvicinato perché si realizzi la Parola del Dio della Pace.

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