Dalla parte della verità o verità di parte? – 1

Il libro di mons. Gänswein tra sentimenti, presunte verità e fumose rivelazioni...
20 Gennaio 2023

Atteso tra tensioni e curiosità è uscito il libro di mons. Gänswein, Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI appena edito da Piemme. Circa 320 pagine quasi tutte autobiografiche di aneddoti sulla sua vita per lungo tempo accanto al 265° pontefice, Benedetto XVI. Ma raccontare di essere stato “al fianco di”, può esporre “il fianco alla” nostalgia più che alla verità: ed è ciò che si avverte dalle pagine del libro.

 

Il contesto che fa comprendere il testo

La prima impressione è quella di trovarsi davanti ad una serie di stati d’animo narrati per dimostrare e ribadire l’innocenza e la rettitudine propria e quella del Papa rinunciatario. Allo stesso tempo, episodi e annotazioni sembrano una chiara volontà di ri-affermare un pensiero teologico, quello di Benedetto, da recuperare e da salvaguardare. Queste due impressioni diventano evidenze e, in parte, scopo della narrazione: ribadire l’innocenza e la rettitudine di Benedetto XVI e tentare di fare da sponda a un sistema filosofico-teologico tanto da proporre (imporre?) una direzione e fare (ed essere?) breccia nel sistema e nella istituzione ecclesiale attuale.

Per questo il testo, più che una testimonianza (“dire la verità”), appare come la giustificazione o chiarificazione circa alcuni avvenimenti degli ultimi anni e, allo stesso tempo, spazio editoriale (e tempo storico-ecclesiale?) da cui ricordare una proposta di visione di Chiesa e di dottrina. Se la prima tensione è un’occasione, la seconda è una provocazione ingiustificata e una tentazione pesante.

Queste tensioni appaiono come intenzioni proprie di mons. Gänswein: il testo, infatti, non è stato pubblicato nella forma di un’intervista: è un libro diario. La forma dell’intervista è stata evitata perché l’intervistatore avrebbe potuto forzare le risposte dell’intervistato. Tuttavia, e questo è detto chiaramente dal giornalista che “ha accompagnato” la stesura del testo, non è stata evitata una certa guida per andare “più a fondo” in ciò che l’autore/intervistato già avrebbe desiderato comunicare (p. 327).

Il testo, dunque, così come risulta, va inquadrato nello spazio narrativo venutosi a creare tra le intenzioni di chi lo firma, mons. Gänswein, e le prospettive di chi accompagna, Saverio Gaeta, che ha aiutato ad “andare più a fondo”. Questa tensione, verificabile dalle paginette della postfazione (pp. 325-328), rimanda ad una volontà di riproporre il pensiero e il sistema teologico di Benedetto XVI come sicura guida in una società che viene letta, con le categorie di Bauman, “post-moderna e liquida”, dimenticando che quella che indica il sociologo e filosofo polacco è fondamentalmente un’analisi spietata contro modelli di società che producono “vite di scarto” ma che non è molto utile ad apprezzare il “post-moderno” come tempo delle opportunità e delle aperture, oltre i sistemi rigidi i quali non contemplano (né percepiscono) alcuna complessità della realtà.

Il gioco tra rigidità e liquidità non si arresta tornando a sistemi rigidi chiusi ma facendo articolare il pensiero critico anche grazie ad una società aperta: una tendenza utile che appare però “bollata” semplicisticamente nei racconti di Benedetto XVI come “congruenza con il mondo” (p. 303). È questo scarto tra i vari sistemi (filosofici e teologici) che fanno la differenza tra due modi di agire e di pensare. Ma questo Saverio Gaeta sembra ignorarlo e mons. Gänswein sta al gioco animando righe ricche di paure e nostalgie all’interno della linea del pontificato attuale: un atteggiamento pericoloso e dannoso, fuori e dentro la Chiesa.

Anche la postfazione di Saverio Gaeta appare deludente e faziosa soprattutto nella sua presunta “tensione profetica” che non risparmia indicazioni sui “papi santi” riprendendo le parole di Padre Pio da Pietralcina. Il santo cappuccino, dopo un incontro con l’allora cardinale Karol Wojtyła avrebbe accennato ad un Papa polacco, “grande pescatore di uomini”, seguìto da un Pontefice “che avrebbe ampiamente confermato i fratelli nella fede” (pp. 327-328).

L’affermazione del Frate stimmatizzato è chiara ma non basta né per canonizzare i due pontefici né per rendere unica ed esemplare la dottrina. L’ambiguità persiste e rimane il contesto di tutto il libro.

Va chiarito che la questione non è se si può esternare o meno un disaccordo con un pontefice (qualsiasi pontefice…): la questione è se per farlo si tirano in gioco sentimenti, sensazioni, preoccupazioni del pontefice rinunciatario. Una dichiarazione di intenti fatta da una posizione più che privilegiata, quella di segretario personale, allo scopo di proporre non “parte della verità” ma una “verità di parte” e con presupposta autorità. In altre parole, contesto, forma e tempi denunciano la volontà di proporre un confronto tra pontefici. Ingenuo? Scaltro? Ambiguo? O solo fumo? A chi legge rimane solo fumo, poiché non vi sono argomentazioni teologiche ma solo indicazioni fondante su proposte autoritarie e sensazioni devozionali (con tutto il rispetto che si deve per quest’ultime).

Ne nasce un testo che, a ben vedere, rende ancora più chiare e giuste le preoccupazioni di papa Francesco che vedeva crescere intorno a sé una schiera di schierati. E se mons. Gänswein non mette in dubbio la sua fedeltà a Benedetto e a Francesco, emerge però che il contesto, e il tono utilizzato in molte parti, sostanzia dubbi circa la sua disponibilità a seguire le indicazioni pastorali di Francesco.

 

Rivelazioni sostanziali o indiscrezioni sentimentali?

Il testo non riporta “rivelazioni choc”: chi le aspettava rimarrà deluso. È una semi-autobiografia che descrive passaggi cruciali degli anni che mons. Gänswein ha trascorso a diverso titolo prima con il Card. Ratzinger e poi con Papa Benedetto. Un lungo “ritiro spirituale” che a tratti si configura come “distacco dal mondo” (p. 303) e che si concretizza ancor di più nel “Monastero” e che per mons. Gänswein coincide col suo “confino” ma che di fatto diventa il luogo del suo essere portavoce di papa Benedetto e (suo malgrado?) trait d’union tra lui e la frangia reazionaria contro Bergoglio. E sebbene mons. Gänswein ribadisca che non ha mai voluto rivestire nell’uno né l’altro ruolo, pur sentendosi “dimezzato”, appare nella sua volontà di voler indicare una strada da seguire (sulle orme di Benedetto) soprattutto stoccando “frecciatine” a papa Francesco che lo avrebbe scavalcato nelle sue funzioni (p. 262).

Dai toni e dalle forme del racconto emerge chiaramente che mons. Gänswein non legasse molto con l’attuale Pontefice, con i suoi modi e con il suo pensiero. Papa Francesco è raccontato come un uomo che non dà spiegazioni (pp. 264-266). In realtà il Pontefice appare come un pastore deciso che ha a che fare con una realtà inedita: un papa rinunciatario che molti vorrebbero usare contro di lui. Il Pontefice assume anche atteggiamenti attenti per non esporre il fianco, poiché «ci sono tanti –avrebbe detto in proposito papa Francesco a mons. Gänswein– che scrivono contro di lei e contro di me, ma non meritano considerazione» (p. 268).

Inoltre, papa Francesco ha più volte dato testimonianza che preferisce governare speditamente anziché cercare di difendersi da chi gli sta vicino. In fondo, la “redistribuzione degli incarichi” del Prefetto ha salvato lo stesso mons. Georg Gänswein perché lo ha preservato da altri pericoli o incongruenze.

Eppure, in questa situazione mons. Gänswein riesce anche a ribadire l’utilità di due forme di «ministero papale allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo» (p. 273), una dichiarazione che rimane non compresa. Sembra che si ponga ponendo in concorrenziale “il fare” di Francesco e “l’ascolto” di Benedetto nel medesimo ministero (cosa che lo stesso Benedetto smentisce sebbene confermando la distanza di pensiero con Francesco; pp. 285-286).

Ma così raccontando, e con tutto il suo rispettosissimo carico emotivo, mons. Gänswein rimane nell’ambiguità gettando altro fumo. E se l’emotività si può comprendere, la strategia del racconto non è giustificabile se non nella volontà di voler far apparire ciò che non c’è. Le dichiarazioni rimangono indiscrezioni devote; e quelle rimangono.

[parte 1^]

 

4 risposte a “Dalla parte della verità o verità di parte? – 1”

  1. Dino Doimo ha detto:

    Per il bene e la pace di tutti, il silenzio sarebbe stato la migliore scelta.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Quando si è celebrato il Santo Padre Papa Benedetto XVI Mons.. Ganswein era la davanti con le donne della Casa che sono state i famigliari di Papa Ratzinger, coloro che affettivamente lo erano, per la cura e attenzione, della sua persona, una assistenza che non può essere compresa se non provata. Loro lo hanno conosciuto poliedricamente non solo era un Benedetto XVI, non un grande teologo, ma hanno condiviso è conosciuto l’uomo da vicino, è prodigato cure come l’età esigeva. E, in quel momento di dolore condiviso per la persona che per questo si suppone “cara” anche affettivamente, sembra spontaneo rivolgere a loro le prime condoglianze. Quando una persona e in sofferenza, è naturale una reazione o desiderio di rispondere a viso aperto, senza calcolo di come sarebbe stato accolto quel bisogno di sincerità sofferta…..Questo pensa un comune cittadino, per il fatto

  3. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Mi sa che don Georg dopo aver impersonato il “servitore di due padroni ” e poi il ” prefetto dimezzato” ora dovra’ impersonare quelli di “Assange” . Attaccato per le sue rivelazioni che non sono piaciute in alto loco e costretto d’ ora in poi al “silenzio” forse trovera’ asilo in una ambasciata . Mentre in Vaticano personaggi come Chaouqui non solo sono stati graziati e riammessi al baciamano papale, ma viene data ribalta e rilievo alla sua testimonianza nel processo contro Becciu.Due pesi due misure o forse la Chaouqui e’ piu’ potente di Don Georg?

  4. Nunzio Currao ha detto:

    Una prima e sommaria lettura del Libro conferma riga per riga quanto scritto nell’articolo. Il fatto stesso che il libro sia stato scritto quando Benedetto XVI era in vita e dato alle stampe non appena è deceduto pone molti dubbi e interrogativi sulle intenzioni dell’autore.

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