Un j’accuse giovanile che riguarda tutti

Alla Normale di Pisa, durante la consegna dei diplomi al termine del corso accademico, tre studentesse hanno contestato apertamente il sistema universitario neoliberale. Ma il senso di quanto accaduto va al di là delle mura universitarie...
29 Luglio 2021

Lo scorso 9 luglio, presso la Scuola Normale di Pisa, si è svolta la consegna dei diplomi al termine del percorso della classe di lettere. In quel contesto, molto ufficiale e solenne, tre studentesse (Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante, Virginia Grossi), a nome delle compagne e dei compagni di corso, non hanno tenuto un discorso di circostanza, grondante retorica o compiacimento. Ma, con rara franchezza e tanto coraggio, hanno garbatamente esposto il loro ‘atto d’accusa’ contro l’università, di fronte ai docenti e in diretta internet (qui il testo e qui il video, con l’intervento dal minuto 34.40).

Nel tempio della ‘competitività accademica’ italiana, basata su ‘eccellenze’ e ‘prestigio’, la denuncia delle tre ragazze ha toccato tutti i punti scoperti di un sistema universitario che, sempre più aderendo ai dettami europei e americani, schiaccia l’umanità e i tempi lunghi della ricerca sulla produttività, sulla corsa alle pubblicazioni, sulla competitività sfrenata, sul nascondimento delle debolezze, sulla cristallizzazione delle disuguaglianze, siano esse sociali o economiche (richiamando anche il tema dei finanziamenti non uguali tra varie sedi accademiche), sulla discriminazione di cui sono oggetto le donne nel prosieguo della carriera universitaria. Nel loro discorso le tre relatrici hanno rimproverato i presenti perché fautori, sostenitori o per lo meno non oppositori di un’università ‘neoliberale’ che tralascia gli spazi dell’umano, la collaborazione, la sosta, la debolezza. È un modello accademico, lo sappiamo, che la politica ha sostenuto, e che si vorrebbe sempre più imporre anche nell’istruzione dei livelli inferiori.

A fronte del discorso pronunciato in quella sede, mi sono sorte tre riflessioni, che brevemente sintetizzo:

1) Da più parti, ormai, si moltiplicano appelli e proposte alternative a un sistema educativo e di formazione (penso anche al Manifesto per la nuova scuola sottoscritto pure da numerosi intellettuali) che dietro parole d’ordine come ‘competitività’, ‘autonomia’, ‘inclusione’, ‘professionalità’, ‘rapporto con il mondo del lavoro’, ‘competenze’ (tutte condite di anglismi d’accatto) in realtà innesta la visione economica e sociale (e antropologica) neoliberale, che da una parte privilegia il forte spesso già privilegiato, dall’altra riduce gli spazi della riflessione, della ricerca libera, della critica argomentata. Il nascere di visioni differenti aumenta il dialogo, pur nella quasi totale assenza di copertura mediatica, e soprattutto pone domande, chiede conto, in qualche modo contrasta una rotta che sembra irreversibile.

C’è da dire, inoltre, che troppe voci cristianemente ispirate (o impegnate) hanno portato legna da ardere nei decenni a questa costruzione formativa di impronta neoliberista, mentre poche hanno manifestato dissenso, andando a contrastare un impianto così lontano da una tradizione educativa ricca, di servizio ma anche di serietà, poggiata su un approccio umano integrale, di fraternità e condivisione.

2) Le tre ragazze hanno dimostrato coraggio, parresia, franchezza, finezza di eloquio: hanno cioè agito, di fronte a coloro che rappresentano il ‘potere’. Hanno dimostrato un senso civico e un legame verso il bene comune di profonda solidità. È un buon inizio, senz’altro, non tanto per una semplice contestazione, ma perché hanno sollevato problemi che gli stessi loro docenti, ne sono certo, sentono e di cui magari parlano in privato, salvo però in pubblico adeguarsi, non contestare, se non addirittura promuovere, forse per ignavia, per timidezza, per interesse. Ecco, di questa misurata ma forte freschezza di contestazione giovanile hanno bisogno il nostro tempo e la nostra società: una contestazione argomentata, basata su fatti, fondata su un senso di comunità che non indietreggia di fronte all’individualismo. Gli adulti che detengono le leve del potere, quasi tutti anziani, devono essere messi di fronte a responsabilità, omissioni, connivenze: il mondo accademico è così, ma così è anche la società. Non si possono più reggere retoriche astratte che non mutano nulla nel concreto.

3) In ambito ecclesiale, avremo mai il coraggio di vivere episodi del genere? Le occasioni non mancano (pensiamo al sinodo dei giovani), ma vengono spesso narcotizzate. Se si cooptano giovani intruppati e compiacenti, che contestano il margine avvallando il nocciolo delle questioni, se si dà loro parola limitata, se gli stessi giovani brillanti (i pochi rimasti) si adeguano al sistema di potere, non si avranno mai quei momenti di rottura, contestazione equilibrata, parresia di cui abbiamo urgentissimo bisogno. Pensiamo a un bel consiglio permanente della CEI in cui tre giovani donne prendano la parola e dicano: «cari vescovi, così non va… etc…». Putroppo, è noto, l’apparato ecclesiale tende a porre ai margini quelle voci meno incasellabili, meno docili a certi richiami (recentemente perfino il Cardinal Ruini ha ammesso una certa durezza di repressione del dissenso ai tempi della sua presidenza CEI). Si dirà: ma quando mai gli anziani danno spazio ai giovani per farsi contestare? È vero, e infatti quanto accaduto a Pisa è stato una sorta di ‘imboscata’ imprevista. C’è però un fatto, che dovrebbe allarmare: molti giovani lasciano il nostro paese, sconfitti da un sistema che sembra irriformabile o perché più attenti al proprio sentiero. Lo stesso accade tra le mura ecclesiali: quanti giovani preferiscono andarsene, perché soffocati o poco coinvolti o poco interessati, estranei a una pastorale e a una struttura autoreferenziale e chiusa? Possiamo noi rassegnarci a questo?

 

3 risposte a “Un j’accuse giovanile che riguarda tutti”

  1. Elena Bor ha detto:

    “recentemente perfino il Cardinal Ruini ha ammesso una certa durezza di repressione del dissenso ai tempi della sua presidenza CEI”:
    A me sembra che “una certa durezza di repressione del dissenso” sia uno sport mai andato in disuso, anzi direi che già da qualche anno esso abbia conosciuto un notevole revival. Tutto dipende dal “sistema di potere” al quale adeguarsi… C’è chi ha pagato duramente per non essere stato “intruppato e compiacente” con l’odierno mainstream ecclesiale: in ogni tempo chi detiene il potere, difficilmente tollera punti di vista divergenti, anche perché troverà sempre chi ben volentieri si adegua.

  2. Giovanni Giorgio Venzano ha detto:

    Anch’io ho scritto questa parola che dice tutto e niente “autoreferenziale” ma da un po’ di tempo sto pensando che sia meglio tacere perchè vorrei essere santo ma non mi schiodo dalla mia eterna tiepidezza e allora come pretendo insegnare agli altri, ai politici, alla chiesa…

  3. Adriana Somigli ha detto:

    Grazie per aver dato altro spazio alle tre giovani della Scuola di Pisa aggiungendo riflessioni, argomentazioni e, soprattutto, chiudendo con una domanda per tutti… che apre a ulteriori riflessioni.

Rispondi a Giovanni Giorgio Venzano Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)