Se l’ultima parola non è l’unica

"Più che credere nella Chiesa - gli dico - un cattolico crede "la" Chiesa".
13 Marzo 2012

Ho cercato di mettere un po’ di confini e soprattutto di fare chiarezza. In una società frammentata, più che liquida, un ragazzo di 15 anni è davvero già un naufrago culturale. E non lo sa. Perciò a volte ci vive dentro come se stesse ad Acquafan, il parco di divertimenti acquatici.

Così se per caso una mattina, butto li una domanda, nel mezzo di un tentativo di spiegare cosa pensa la chiesa sulla omosessualità, trovo davvero le risposte più varie e anche inaspettate. ” Ragazzi, ma chi è un cattolico? Come facciamo a distinguere la sua posizione da un laico, da uno di sinistra, da un protestante o un testimone di Geova?” Nell’ordine in cui sono state buttate lì da loro, ma in realtà molti erano seri nel dirlo, le risposte sono: “E’ uno che crede in Dio”. “Un cattolico è uno che paga le tasse sempre”. “No, un cattolico crede in Cristo, più che in Dio”. “E’ uno che va  a messa tutte le domeniche e non fa peccati”. 

E’ una seconda, è forse è davvero troppo presto per cercare di offrire chiarezza su questi confini. Ma mi ci hanno portato loro, perché la curiosità di sapere non solo il pensiero della Chiesa, ma anche di chi ha culture “altre” è venuta fuori in una serie di domande fatte da loro, che mostrano proprio come abbiano un disperato bisogno che qualcuno si fermi a dirgli l’ovvio, almeno ovvio per gli adulti. Ma che forse così tanto ovvio non è nemmeno per gli adulti. 

E dimostra come il desiderio di un orientamento e di sapere dare un nome alle proprie idee, anche se ancora in erba, non è morto e che se sentono che se qualcuno ha tempo e voglia di aiutarli a fare chiarezza, loro non si tirano indietro. “Ah prof., ma allora io sono laica” mi dice Giorgia dopo la mia spiegazione di chi è un laico. E con sorpresa possono finalmente dare un nome a quell’ambito in cui si sono riconosciuti, sul quale magari cambieranno idea ancora 200 volte. 

“Bhè non basta dire che un cattolico crede in Dio, anche un buddhista, un testimone di Geova ci credono. E anche un laico ci può credere. E non basta nemmeno dire che crede in Cristo. Anche un protestante ci crede. Manca qualcosa di essenziale per definire un cattolico”. E allora Mattia ci prova, aggiungendo un altra risposta alla lista: “Un cattolico accetta quello che dice la Chiesa e non quello che pensa lui”. “Cioè Mattia? Spiegaci, cosa vuoi dire… – gli dico”. “Che un cattolico ha delle idee da seguire che gliele dice la Chiesa e lui deve accettarle, anche se magari lui penserebbe una cosa diversa”. “Ma come fa ad accettarle se non le pensa – ribatto – Tu accetteresti che i tuoi genitori ti dicessero che questa scuola è la scuola giusta per te, quando invece tu pensi il contrario?”. “Eh, ma prof. – salta su Mirca – anche se io penso che non voglio venirci, loro mi ci mandano!” “Quindi i tuoi genitori  – le rispondo – possono, al massimo, obbligarti a un certo comportamento, ma non possono farti pensare una cosa che tu non vuoi pensare. E credete che un cattolico sia obbligato a pensare e fare certe cose che gli dice la Chiesa, ma che lui non crede siano sensate?” “Bhè non lo so prof., forse non è così, – riprende Mattia – però un cattolico mica è libero di fare e di pensare quello che vuole”.

Registro, di passaggio, come nella loro testa la direzione e i confini dei pensieri di un cattolico arrivano da una entità “altra”, la Chiesa, rispetto al cattolico stesso. E come questa pre – comprensione non consenta di ammettere una possibile convergenza dei pensieri del cattolico, con quelli della Chiesa. Anche perché a 15 anni è facile e quotidiano vivere una contrapposizione con l’istituzione (famiglia o Chiesa che sia).

“Quindi, secondo voi, un cattolico è obbligato a non pensare con la propria testa e a seguire invece ciò che gli dice la Chiesa”. “Eh, prof, non è così? – ancora Mattia – per me un cattolico è chi crede nella Chiesa, o no?” “Più che credere nella Chiesa – gli dico – un cattolico crede “la” Chiesa”. “Cosa vuol dire prof?”. “Vuol dire che lui stesso è dentro la Chiesa, non è estraneo. Crede cioè che anche lui fa parte di quella “cosa” che dice cosa va creduto e cosa va fatto. E crede che tutti i cattolici, per prima cosa, vogliono ascoltare e capire cosa gli dice Dio attraverso la sua Parola, i Sacramenti e la vita spirituale. Certo tutti si ritrovano su alcune idee che sono la base della fede, quelle espresse nel credo che si recita la domenica a messa. Ma ci credono perché usando la loro testa, vivendo le proprie esperienze, confrontandosi con chi è più saggio e ha un ruolo di guida, hanno capito che quelle idee hanno un senso, non solo perché glielo ha detto qualcuno. Ma scusate, sarebbe un insulto a Dio, che lo ha creato, se un cattolico non usasse anche la sua testa per decidere se e come credere”. 

Ancora di passaggio, registro come spesso l’adolescenza oggi si prolunghi, a volte fino all’età adulta. E come sia difficile anche per noi credere “la” Chiesa e non solo “nella” Chiesa. Alla “verità tutta intera” (cioè cattolica) ci si arriva se ognuno ascolta lo Spirito, se no ne mancherebbero dei pezzi. Non è un compito esclusivo riservato alla gerarchia, che invece ha il compito di dire l’ultima parola. Ma l’ultima non è l’unica.

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