Se provassimo a rileggere le parole pronunziate da Papa Francesco durante la Gmg di Panama, tenendo sullo sfondo le tendenze e gli esiti emersi dal Sinodo dei giovani, ci accorgeremmo che il vescovo di Roma ha compiuto una scelta di campo tra le tre anime del Sinodo. Innanzitutto ha rimesso al suo posto la tendenza che poneva al centro l’esigenza di tornare ad insegnare la verità di Cristo ai giovani. Non perché si debba rinunciare a questo compito, ma perché ci si dovrebbe prima preoccupare del metodo, dello stile attraverso cui, poi, questa verità possa essere veicolata e non solo insegnata.
Per questo Francesco ha cercato di vivere effettivamente la tendenza del Sinodo che anteponeva ad ogni altro bisogno della Chiesa quello di capire cosa stesse avvenendo nel mondo giovanile. Di compiere un atto di «kenosi» per ascoltarne «il battito del cuore», «il rumore e il richiamo costante». Con risultati decisamente interessanti perché, a partire da tale ascolto significativo dei giovani, il Papa propone alcune indicazioni concrete in sintonia col tempo presente e, forse, ulteriori rispetto alle stesse conclusioni del Sinodo.
Invece di stracciarsi le vesti per l’odierna tendenza giovanile di non guardare affatto al passato e di guardare ben poco (o con terrore) al futuro per rinchiudersi in un presente di attesa e distrazione, il vescovo di Roma ricorda ai giovani che «la vita è oggi», la fede è oggi – altrimenti non esiste. In altri termini, Francesco è convinto che, anche a partire da una posizione esistenziale la quale sembra percepire come dato temporale reale solo il momento, è possibile per un giovane essere animato oggi dalla fede in Cristo.
L’essenza del messaggio ai giovani, quindi, non è tanto quella dell’esaltazione della vita come progetto, della necessità di prepararsi al futuro, bensì quella dell’amare «adesso», quella «passione dell’amore oggi» che sola può rendere possibile al giovane “vivere” Cristo: «salverete solo quello che amate» e «create legami che permettono nuovi processi». Sono i due imperativi categorici, attraverso i quali Francesco non chiede ai giovani di progettare il futuro – per giudicarli se non lo fanno, ma di farsi aiutare a recuperare le chiavi presenti per riaprire quel futuro: «il futuro esige che si rispetti il presente».
Papa Francesco lo dice in modo netto agli stessi ragazzi: «anche a voi può succedere lo stesso ogni volta che pensate che la vostra missione, la vostra vocazione, perfino la vostra vita è una promessa che però vale solo per il futuro e non ha niente a che vedere col presente. Come se essere giovani fosse sinonimo di “sala d’attesa” per chi aspetta il turno della propria ora». Mentre è nell’oggi che si misura la vita, anche nella sua dimensione spirituale: «Voi, cari giovani, non siete il futuro. No, voi siete il presente. Non siete il futuro di Dio: voi giovani siete l’adesso di Dio!».
Ciò non toglie che la valorizzazione del momento presente, della giovinezza come età preziosa in sé e non come semplice
preparazione alla vita vera, si apra al futuro radicandosi nello Spirito: «L’amore di Gesù, l’amore di Dio, l’amore di Dio Padre (…) è un amore che inaugura una dinamica capace di inventare strade, offrire opportunità di integrazione e trasformazione, opportunità di guarigione, di perdono, di salvezza». E’ però dall’oggi del giovane, pienamente restituito nella sua propria dignità, che può scaturire una dinamica che sia inizio di una strada nuova, di una «vita nuova», per una singola persona come per le comunità tutte.
Tutto ciò si basa su una certezza: i giovani sono un «luogo teologico», un «lì» in cui «il Signore ci fa conoscere alcune delle sue aspettative e delle sue sfide per costruire domani». Questo significa che guardare ai giovani implica uno sguardo che sappia realmente riconoscere che essi già sono abitati dallo Spirito che parla a tutta la Chiesa: «essi portano dentro una inquietudine che dobbiamo apprezzare, rispettare, accompagnare; e quanto bene fa a tutti noi, perché ci smuove e ci ricorda che il Pastore non smette mai di essere un discepolo ed è sempre in cammino».
La «sana inquietudine» tipica dell’età giovanile non è dunque un ‘difetto’ da correggere, o un carattere dell’età che va narcotizzato: al contrario, essa va accolta, ascoltata e diffusa, perché è antidoto alla pigrizia, alla chiusura, al grigio torpore del quotidiano non più aperto alla dinamica dello Spirito. Soprattutto quando l’esistenza dei giovani è «profondamente segnata da tante ferite», «difficoltà», «complicazioni», dalle quali è necessario – intima il Papa – farsi toccare, colpire, contrassegnare, impregnare, commuovere. Per inaugurare «una dinamica capace di inventare strade» nell’attuale «complessità della vita e di ogni situazione», con «tutta la sua fragilità e piccolezza», con «tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso». D’altronde, «come penseranno che Dio esiste se loro stessi, questi giovani, da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli e per la società?».
Valorizzazione allora l’inquieto presente, amare le inquietudini presenti, permette infine di evitare il rischio connesso all’orientamento prettamente vocazionale che il Sinodo sembra aver attribuito alla pastorale giovanile, ossia quello di rivolgersi al ‘piccolo gregge’ che seriamente si pone in ascolto dello Spirito nell’atto del discernimento.
Riconoscere piena dignità agli anni della giovinezza senza subordinarli per forza alla dimensione vocazionale, che rimane sì importante, ma che è spesso implicita nel periodo della crescita e della maturazione, garantisce a quest’ultima di rimanere come elemento fondamentale – e soprattutto come meta, fermo restando che il cammino parte dal qui e ora, luogo e tempo pienamente abitato dallo Spirito.