Libertà di coscienza

Di quanto e come una educazione possa rispettare o no la crescita di una coscienza che voglia con sincerità essere fedele a sé stessa. 
27 Aprile 2011

In una quinta. E’ una bella classe, sveglia, motivata, ben assortita. Martedì mattina mi hanno dato un’ ora di supplenza. E siccome ci sono tre ragazze che non fanno religione si apre sempre il problema di come gestire questa ora. 

Se faccio lezione di religione le tre ragazze hanno diritto di uscire e fare ciò che hanno scelto in alternativa, che per quelle tre, come per il 90% di chi non fa religione, è di uscire da scuola. Ma quella non è l’ora canonica prevista dall’orario settimanale e i loro genitori non sono avvisati di questo cambiamento, perciò si pone sempre il problema se farli uscire dalla scuola oppure no. Siccome questa decisione spetta alla presidenza, chiedo lumi. E anche martedì, come spesso accade, la risposta è che le ragazze non possono uscire da scuola (Tra l’altro sono maggiorenni!!!). Perciò dico alla classe che io non posso costringere nessuno ad ascoltare una lezione che non hanno scelto e che quindi solo se le tre ragazze accetteranno di dover stare in classe e ascoltare la lezione io potrò lavorare. 

Alla fine il compromesso è che loro tre se ne stanno in fondo alla classe in disparte e noi facciamo lezione. Ho in programma di precisare alcune cose sulla differenza tra cattolici e protestanti, già iniziata la volta precedente sulle questioni circa la “sola fide” e l’interpretazione della bibbia. Dopo circa 10 minuti di lezione Elisa alza la mano: “Prof. ma come fanno i protestanti quando dicono la messa, è come la nostra’”. “Veramente non è come la nostra, soprattutto perché non fanno la comunione, non credono che nel pane consacrato ci sia la presenza reale di Gesù”. “Ah, quindi non hanno la comunione come noi?”. “No, anche se poi il mondo protestante è abbastanza variegato e alcuni gruppi si sono avvicinati molto alla nostra concezione del pane come corpo di Cristo. Mentre come noi hanno il battesimo, che anche da loro è visto come ingresso nella vita di fede e della comunità”. 

Buttando un orecchio e un occhio in fondo alla classe mi accorgo che Lara e Lucia, due delle tre che non fanno religione, iniziano a parlottare tra loro freneticamente. Lascio correre sperando che smettano presto. Ma la loro voce si alza e il parlottio continua. Ci sono altre due domande di due ragazze, io rispondo, ma nel fondo il brusio non si placa. Decido di capire. “Lara che succede?”. “Ah scusi prof. non volevamo disturbarla, ma stiamo parlando del battesimo”. “Bene, mi interessa molto, che cosa stavate dicendo?”. “No niente, parlavamo del fatto che sia giusto o no battezzare i propri figli”. “In che senso?” faccio io. Lucia interviene: “Io sono felice di essere stata battezzata e mi piacerebbe che anche i mie figli vivessero questa cosa come la vivo io”. “Io invece – ribatte Lara – siccome non cambia nulla nella mia vita se sono o no battezzata, penso che non battezzerò mio figlio per lasciarlo libero di scegliere quando è grande. Io non ho fatto la cresima perché mia madre mi ha lasciata libera di scegliere e credo che non la farò”.

“Mia madre invece mi ha detto – salta su Monica – che fino alla cresima avrei dovuto fare tutti i sacramenti iniziali e dopo avrei potuto decidere io quello che volevo. E infatti dopo la cresima non sono più andata in parrocchia. Però adesso che mio fratellino va alla comunione io gli racconto quello che so e gli faccio catechismo, però poi gli dico che io non ci credo”. “Bèh allora dovresti essere coerente – ribatte Lara – e non insegnare a tuo fratellino quello che tu non credi”. “E perché? – riprende Lucia – in fondo non fa nulla di male per suo fratello, che in questo modo ha la possibilità di sapere cosa è la comunione e così poi poter decidere. Se invece nessuno gli dicesse nulla, come farebbe a sapere se vale la pena o no?”

E mentre questo dialogo va avanti io ascolto e mi chiedo: di cosa stanno parlando? Cosa è che le spinge ad aprire una questione così apparentemente lontana da loro in termini di tempi ed interessi? E credo di poter dire che non si tratta certo del contenuto materiale del dialogo: il senso del battesimo cristiano (per quanto forse anche questo non sia del tutto indifferente alle loro menti, almeno come curiosità). Credo invece che stiano parlando di libertà di coscienza. Di quanto e come una educazione possa rispettare o no la crescita di una coscienza che voglia con sincerità essere fedele a sé stessa. 

Nel merito è evidente che non esiste nessuna educazione religiosa neutrale e che anche il silenzio è già una posizione di parte. Come è evidente che la responsabilità prima della educazione religiosa spetta ai genitori e quindi essi hanno il diritto-dovere di insegnare ai loro figli quello che loro stessi credono o pensano. Ma mi piace pensare come sarebbe una Chiesa che nella sua missione di evangelizzazione fosse in grado di riconoscere davvero nella coscienza delle persone un valore non negoziabile (tanto per usare un’espressione famosa) qualsiasi sia la condizione in cui tale coscienza si viene a trovare. E come sarebbe la evangelizzazione se lo strumento principale per parlare alle coscienze degli uomini di oggi fosse la testimonianza personale e l’attrattiva esistenziale della vita di chi evangelizza. 

Forse ci sarebbero meno reazioni di rigetto e meno paura di essere “manipolati”.

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