L’esame di Dante

Alla vigilia dell'esame di maturità, può essere di sostegno agli alunni e alle alunne sapere che anche Dante subì un esame: e che esame...
15 Giugno 2021

In piena solidarietà con i nostri alunni che si accingono ad affrontare la Maturità, anche Dante si sottopone a un esame nella Divina Commedia, nei tre canti XXIV, XXV e XXVI del Paradiso. Nei tre canti XXIV, XXV e XXVI del Paradiso. Dopo aver passato tutto il viaggio come un alunno ligio e curioso a fare domande a Virgilio, alle altre anime, a Beatrice, giunge alla fine l’esame richiesto per accedere alla visione dell’Empireo e quindi di Dio.

I commissari d’esame sono tre Apostoli che interrogano Dante sulle tre Virtù Teologali: San Pietro sulla Fede, San Giacomo sulla Speranza e San Giovanni sulla Carità. Dante stesso si presenta prima come “baccelliere”, il primo grado delle scuole di Teologia, che «s’arma e non parla / fin che ‘l maestro la question propone» (Pd XXIV 46-47), poi come «discente ch’a dottor seconda» (Pd XXV 64). Ma tanta parte della critica dantesca ha anche evidenziato come questo non sia solamente un esame, una mera prassi scolastica, ma vi sia descritta la realtà profonda della vita di Dante, non solo una questione intellettuale quindi, ma esperienziale. Nelle intenzioni, questa Maturità che vedrà protagonisti i nostri alunni non dovrebbe essere tanto diversa.

Cento versi dura la prima prova (Pd XXIV 46-147), nella quale San Pietro esordisce con la domanda: «Di’, buon Cristiano, fatti manifesto: / fede che è?». Domanda semplice ma non di certo facile. Però l’esaminato risponde sicuro: «fede è sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi». Dante sta citando Ebrei 11 e questo è il primo insegnamento per i nostri ragazzi: non inventate, non siete soli, anche se vi sentite inadeguati, piccoli, siete nani sì, ma sulle spalle dei giganti. Partite da lì, da quello che avete studiato, dalle autorità che avete conosciuto in questi anni e che ci hanno portato fino a qui!

Dopo l’approfondimento della prima, la seconda domanda di San Pietro è più personale: «d’esta moneta… dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». La moneta è metafora per la fede, in quanto dono prezioso, da custodire, e Dante afferma con orgoglio di possederla: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, / che nel suo conio nulla mi s’inforsa». La fede di Dante è perfetta nella sua brillantezza e nella sua forma e non c’è nulla che possa farlo dubitare. Secondo suggerimento: siate sinceri e siate sicuri di voi, non fingete, non abbiate paura di essere voi stessi!

San Pietro si lancia poi in una fitta rete di domande alle quali Dante risponde prontamente: dove si fonda questa fede? Dalla Bibbia, ispirata dalla «larga ploia», la pioggia dello Spirito Santo. Quale prove ne hai? «Le opere seguite», i miracoli. E chi ti assicura che fossero veri? Perché non citare qui allora quello più grande: «Se ‘l mondo si rivolse al cristianesmo, / diss’io, sanza miracoli, quest’uno / è tal, che li altri non sono il centesmo», se l’intero mondo pagano si è convertito al Cristianesimo senza miracoli, questo solo è tale che tutti gli altri non ne sono che la centesima parte. Insomma, mi raccomando ragazzi: risposta pronta!

Al canto del Te Deum, quando tutto sembra finito, San Pietro rivolge un’ultima domanda: «or convien espremer quel che credi»; dopo aver detto che crede, Dante deve ora specificare in cosa crede, quel è l’oggetto della sua fede. Dal verso 130 c’è il Credo di Dante, alla fine del quale San Pietro lo incorona benedicendolo.

Altri sessanta versi (Pd XXV 40-99) sono dedicati alla seconda prova, nella quale San Giacomo esamina Dante sulla Speranza, chiedendo tutto in una volta: «Di’ quel ch’ell’è, di’ come se ne ‘nfiora / la mente tua, e di’ onde a te venne». Ma qui accade qualcosa di strano: s’inserisce Beatrice e anticipa la risposta alla seconda domanda; l’intervento della pïa si spiega col fatto che sarebbe stato per Dante motivo di immodestia proclamare che rispetto a lui la Chiesa «alcun figliuolo / non ha con più speranza». Vedete ragazzi, accanto a voi avrete i vostri professori, che vi conoscono e sono pronti a venirvi in aiuto nel momento nel bisogno, come anche a esaltare le vostre buone qualità: fidatevi di loro!

Alla prima domanda Dante risponde che la speranza è «uno attender certo / de la gloria futura» e anche qui, come prima, riporta una sentenza della Teologia del tempo: la speranza è l’attesa certa, senza dubbio, della beatitudine eterna. Molti hanno infuso speranza in Dante ma soprattutto il «sommo cantor del sommo duce», Davide con i suoi Salmi, e proprio San Giacomo con la sua Epistola: ora lo stesso Dante ne è così pieno che «in altrui vostra pioggia repluo», riversa ad altri la speranza che ha ricevuto. Ragazzi, avete avuto degli insegnanti che vi hanno dato ciò che sanno e che sono per cinque anni, ora siate pronti voi a mettere a frutto e a donare ad altri quello che avete ricevuto.

L’ultima domanda di San Giacomo riguarda l’oggetto della speranza di Dante ed egli, citando Isaia e l’Apocalisse, descrive il giorno del giudizio e la rappresentazione «de l’anime che Dio s’ha fatte amiche», fra le quali sente di poter stare. Raccontate i vostri sogni, ragazzi, senza timore, le vostre speranze più grandi, ciò che vi fa alzare la mattina: di fronte alla verità non c’è nulla da temere.

Nella terza prova San Giovanni interroga Dante sulla Carità (Pd XXVI 1-66): «Comincia dunque; e di’ ove s’appunta / l’anima tua», verso dove protende la tua anima, il tuo desiderio. La risposta di Dante parla di Dio: «Lo ben che fa contenta questa corte, / Alfa e O è di quanta scrittura / mi legge Amore o lievemente o forte», è Dio il principio e la fine di ogni affetto, piccolo o grande che sia. Ma «chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio» chiede San Giovanni. Alla domanda sull’amore Dante risponde con un argomento filosofico, specificatamente aristotelico: tutti i beni sono riflesso di quello supremo, il «primo amore di tutte le sustanze sempiterne», il motore immobile che muove il sole e l’altre stelle. Insieme alla filosofia, la speranza gli viene anche dalla Bibbia, con Mosé e lo stesso San Giovanni con il suo Vangelo. Ragazzi, non pensiate che ragione e fede, razionalità e passione si contrastino, sappiate mettere insieme cose anche lontane e che sembrano opposte, l’eccessivo estremismo non aiuta mai a capire.

Infine San Giovanni chiede a Dante, oltre la teoria, quale sia nella pratica la vera spinta, «se tu senti altre corde / tirarti verso lui», gli atti di amore, non i ragionamenti, che lo fanno sentire amato e in grado di amare: e Dante li elenca, ovviamente riferiti alla fede, ma primo fra tutti è «l’essere del mondo e l’esser mio», la stessa esistenza del mondo e la sua vita. Ricordate ragazzi? È qui che siamo partiti cinque anni fa, in Prima nel nostro programma di Religione: la meraviglia dell’esistenza, dell’uomo stesso e di tutto ciò che ci circonda, facendoci la domanda se questo e noi siamo frutto di caso, di destino o di un disegno che per noi è un dono.

Ma ora che ci penso le domande poste a Dante in Paradiso sono le stesse che ogni anno ci facciamo con i miei alunni, alle quali noi insieme ci siamo sforzati di dare risposta durante questi cinque anni, ma che non faranno parte di questo loro esame. Ma forse la mia materia è servita a dare le competenze giuste per affrontare un passo di questo genere e che mi pare coincidano con i consigli che darebbe Dante: studiate e non inventate, non siete soli; siate sinceri e non abbiate paura di essere voi stessi; abbiate la risposta pronta, ma fidatevi dei vostri professori, che vi conoscono e vi aiuteranno; avete ricevuto, ora siate pronti a dare; raccontate i vostri sogni e le vostre speranze, ciò che amate, e sappiate ascoltare, mettete insieme più che dividere e siate sempre disposti a comprendere anche ciò che è lontano da voi.

Andrà bene! E alla fine di questo esame proverete un sollievo e una gioia come poche volte avete sentito e sentirete e io vi auguro di giungere, come Dante alla fine del suo esame, a vedere il mondo sorridervi: «Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso / de l’universo» (Pd XXVII 4-5).

 

2 risposte a “L’esame di Dante”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma che bello indirizzare a degli allievi in prossimità di un importante esame come quello della maturità che rimane poi nella vita ricordo -pietra miliare sempre vivo, perfino a distanza di anni vedere chi si presenta oggi ci si sente partecipi di quello spirito, provato, da speranza, ansia, dubbi anche se infondati di quanto sufficientemente si confida essere preparati, ancora con un anno così trascorso di assenza o lezioni seguite da casa. Una iniezione di vaccino integratore di coraggio, stimolo a contare su un corpo docente che sa, comprende, tende ad andare incontro al pavido studente che si mette alla prova con se stesso. C’è chi mentalmente magari si è anche affidato al cielo, però anche da genitore che vivamente dall’esterno si sente vicino fa piacere leggere una così bella lettera, sapere che la Scuola è viva fintanto che ci sono insegnanti impegnati a trasmettere non solo istruzione ma anche sentimenti di umana solidarietà, che restano nel cuore

  2. Anna Lucia Crichigno ha detto:

    Bello, interessante, confortante.
    Dovremmo far tesoro tutti di questi consigli. ” Gli esami non finiscono mai”.

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