Per l’ennesima volta in questo paese non si può parlare di religione senza suscitare un “pan-demonio”. E questo al di la di ciò che si dice davvero. E così mi sono riproposto di tacere. Ci ho provato, e silenziosamente mi sono riletto le esternazioni del ministro Profumo sulla religione e i commenti vari della stampa, a fare da “clac” alle rispettive lobby politiche. Tutto deja vu. Poi l’articolo di Luca Rolandi e i commenti successivi, hanno però rotto gli argini.
Ma veramente pensiamo che il motivo serio per cui la religione cattolica va insegnata nelle scuole sia per poter comprendere buona parte delle altre discipline storico artistiche letterarie? A parte il fatto che in questo modo si sottrae peso culturale alla religione cattolica invece di darglielo, perchè la si finalizza ad altro da sé, mentre una disciplina ha valore proprio perchè mette capo di suo ai “propri” obiettivi, che se raggiunti consentono maggiore sviluppo alla persona umana. Ma soprattutto questo ragionamento tradisce l’insicurezza nascosta che la religione cattolica a scuola, effettivamente, sia fuori luogo, e per giustificarsi debba ricorrere ad altre discipline.
Ma il bello è che, su questo, la realtà dei fatti, quel che accade nelle classi, è già abbondantemente oltre il problema. Nelle mie classi, quando capita di parlare dell’inferno o del paradiso, nessuno, dico nessuno degli studenti fa il collegamento con la divina commedia. E non perchè non la conoscano, ma perchè spessissimo nella loro memoria Dante è connesso ad emozioni che non hanno certo voglia di risvegliare: noia, fatica, stress da interrogazioni e rarissimamente si colora anche di semi di significato per la loro vita. E quando sono io a fare il collegamento e a rendere più comprensibile Dante, a loro questo non dice nulla.
Nella scuola reale è rarissimo che spiegando Dante si riesca ad andare oltre il nozionismo e ad intaccare la corazza adolescenziale, seminando tracce di senso. E la fatica enorme degli insegnanti di letteratura non è quella di non sapere la teologia, non riuscendo così a spiegare del tutto il valore di Dante, ma quella di rendersi ascoltabili e stimolanti per questi adolescenti. (Chi ne avesse voglia, si legga su questo “E la felicità, prof?” di G. Visitilli) Per questi adolescenti, il senso si rintraccia non nell’accumulo organizzato e coerente delle nozioni, ma nella forza e qualità emozionale delle esperienze che vivono. Qualche hanno fa avevo una collega di Italiano che riusciva a far piangere gli studenti leggendo Leopardi o Baudelaire, perchè lei stessa si emozionava mentre insegnava. E i suoi studenti poi sapevano anche le cose essenziali su Leopardi e Baudelaire, ma soprattutto se li portavano dentro come ancore o stimoli nella loro spaesata ricerca di significato.
Quanti sono gli insegnanti di religione in grado di produrre esperienze di questo tipo? Io ci provo e spesso non ci riesco. Ma capisco che il senso della religione cattolica nella scuola non si fonda sul suo confessionalismo. Perchè anche su questo la realtà è ben oltre il problema. I cosiddetti “programmi” che al momento sono in vigore per la mia scuola (del 1996) sono chiaramente confessionali, nel senso che prevedono che io insegni la religione cattolica. E che solo marginalmente questo venga fatto mettendosi a confronto con le altre religioni. Negli altri ordini di scuola sono in vigore “programmi” che non hanno nessun riferimento ad altre religioni, nemmeno marginalmente. (Moratti del 2003 e Fioroni del 2007). Perciò è difficile sostenere che oggi la religione cattolica a scuola tiene conto della realtà multiculturale.
Ma nelle mie classi il problema non si pone, perchè non passa ora in cui non ci siano studenti che fanno riferimento e domande su religioni altre, che a volte nemmeno io conosco tanto sono stravaganti e giovani. Dovrei non rispondere a queste loro domande? E limitarmi al programma? Non so voi, ma io sto con gli studenti. E quando mi riesce, cerco di rispondere mostrando la assonanza o la differenza rispetto al cattolicesimo. Ma un ispettore un po’ fondamentalista avrebbe da ridire.
In un terza c’è una ragazza musulmana che porta lo Hijab. Nessuno dei ragazzi ha mai fatto questione su questo. Semmai è stato occasione per chiedere a lei come mai, e lei con gentile chiarezza ha risposto che è il segno della sua appartenenza alla religione di Maometto. E da li abbiamo preso le mosse per parlare del velo delle nostre suore. E se è giusto e normale che una mussulmana conosca il senso del velo delle nostre suore, perchè ai nostri studenti dovrebbe non essere spiegato il senso del loro velo? Solo perchè siamo in una storia e una geografia intrisa di cattolicesimo non significa che non abbiamo il dovere di educare i nostri figli a vedere anche visioni altre. E’ strano come per molti la non esclusività dell’insegnamento del cattolicesimo sia visto come negazione dello stesso. O noi o gli altri? Tertium non datur?
In cinque anni di scuola io vedo i ragazzi per circa 150 ore. Lo spazio per il cattolicesimo in rapporto alle altre religioni ci sarebbe eccome. Ma il problema non è questo. Il problema è che in queste 150 ore capiti almeno una volta che i miei studenti si emozionino per la “vita” E se questo avviene Gesù Cristo non è assente. E forse quella volta non se la dimenticheranno.