“Ma professore, lei oggi deve accompagnare quelli della prima al Ser.T, se ne ricorda?” Lo sguardo dell’applicata di segreteria è di quelli da “compatimento” e la voce nasconde a mala pena l’ironia divertita con cui me lo dice. Resto un attimo interdetto e poi focalizzo il viso della mia collega di Italiano che qualche mese fa mi chiedeva se ero disposto ad accompagnare la classe al Servizio Tossicodipendenze dell’Asl. “Uh, ha ragione, cavolo! L’Alzheimer avanza!”
Così alle 14,30 io e la mia collega siamo davanti a Barbara, l’assistente sociale, con una dozzina appena di 14-15enni, su una classe di 26. “Il nostro lavoro non è facile con i tossici, perché dobbiamo occuparci di riduzione del danno, ma questo non ci basta! Qui al Ser.T cerchiamo di ritrovare con loro un filo che dia senso alle loro giornate e al loro essere”. Già, la questione del senso! Qualche hanno fa “Trainspotting”, il libro di I. Welsh, metteva in luce bene come il bisogno di senso e di strade nuove per trovarlo, fosse centrale rispetto all’abuso di sostanze e alla dipendenza da esse.
E forse oggi, più che mai, il “come” e il “cosa” si consuma ci offre una traccia per comprendere come un uomo cerchi di costruire il senso di sé. Fino a metà degli anni ’80 l’uso delle sostanze finiva per segnare una differenza tra chi stava dentro e chi stava fuori dalla società, consegnandoci “sfattoni” e “drugos” che, esclusi da essa, toccavano il fondo davvero. E forse per questo trovavano motivazioni per riemergere e riconfigurare un senso alla loro vita. “Oggi si usa la sostanza per stare dentro alla società, per essere inclusi, per stare al passo con ciò che il gruppo o lo stile dominante ti chiede”. E questa frase di Barbara rimbalza sui ragazzi con un effetto strano.
“Io non sono di qui, e nella mia famiglia ci sono persone che “tirano” della roba e che vanno al Ser.T della mia città. Io.. si… due volte… l’ho provata… ma devo essere onesto… sarà anche piacevole, ma non mi basta. Non so perché, ma credo che la felicità sia di più che un tiro di coca“ (Gianluca). E questa frase, questo “non mi basta” che ritorna, mi resta nella testa. Come a dire che oggi chi vuole ancora cercare un senso umano della vita non lo fa a partire da valori o regole precostituite, ma da esperienze, anche pesanti a volte, che però vengono messe in crisi dalla percezione che la vita deve essere di più.
Cominciare a pensare che il senso di quello che siamo nasce dalla capacità di dire “non mi basta” rende la ricerca del senso molto diversa da qualche hanno fa. Di solito siamo abituati a pensare che il senso nasce in relazione a valori e alle relative regole. Ma credo che sarebbe facile dimostrare che per questa strada oggi non si arriverebbe molto in la e, per l’appunto, mediamente oggi su questo l’uomo tende ad accontentarsi. “Il tossico che oggi lavora e si “fa” solo al sabato, e sono molti, o si fa per rendere di più e meglio nel lavoro, non arriva mai a toccare il fondo, e per questo sente raramente il bisogno di recuperarsi” (ancora Barbara).
E la conferma arriva dai miei ragazzi: “Bhè la curiosità c’è, ma so che mi farebbe davvero male. Però non sono sicuro che non la proverò mai” (Marco). “Ormai te la trovi ovunque, anche nel cesso ci sono i numeri di telefono dove comprarla” (ancora Gianluca). “Comunque se ti fumi una canna mica puoi considerarti un tossico” (Alex). E Barbara risponde: “Nelle questioni sulla sostanza la quantità è la qualità. Bere un bicchiere di vino in compagnia è diverso che scolarsi una bottiglia di vodka, assieme magari ad altre robe. Ma se vuoi rischio zero devi usare zero”. “Ecco io credo che dovrebbe essere vietato tutto, se fa male perché si deve poter vendere?” (Federico).
Ma si può vivere con rischio zero oggi? O, per avere senso, una dose di rischio va messa in conto? A me sembra che se non capiamo che la ricerca di senso ha cambiato strade, non siamo più realmente credibili in quello che diciamo. Come sarebbe se avessimo il coraggio di educare i ragazzi non tanto attraverso il divieto, che per altro regge sempre meno, ma accompagnadoli a percepire che “non basta”. Non basta la tv, non basta il social network, non basta la pasticca, non basta la bottiglia, non basta l’orgasmo. Perché oggi, la logica delle regole da vivere senza averle sperimentate, consente davvero a questo sistema culturale post-moderno di darci da bere quello che vuole. E quindi anche che l’uomo abbia solo una dimensione, quella dei consumi.
Come sarebbe se la nostra ricerca di senso fosse di nuovo ri-appoggiata, come per Gesù Cristo, sul desiderio di una vita piena, intera, rischiando il tutto per tutto, senza accontentarci di quello che la società ci offre? “Non di solo pane…” (Mt 4,4). “Il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,22). “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Tess 5,21).