Un angelo con buone notizie

«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»
18 Novembre 2018

XXXIII domenica del tempo ordinario: Mc 13,24-32

L’ANGELO CHE RICACCIA DENTRO LA SPADA (Peter Anton Verschaffeit, 1752, Roma, Castel Sant’Angelo)

 

Anziché un’immagine di tribolazione, meglio una di speranza. Che, però, non vuole rimuovere il ricordo della tribolazione… È l’arcangelo Michele, che nel 590, durante una processione, sarebbe apparso – nell’atto di riporre la spada nel fodero – a San Gregorio Magno: segno premonitore, secondo il pontefice, della fine della pestilenza e quindi letto come promessa di un tempo di pace.

Per quanto non abbia più il drago sotto i piedi, l’immagine di Michele mantiene un che di inquietante. Perché la si associa a un combattimento e non si è più abituati, dall’arte, a vedere angeli armati, impegnati a respingere i demoni (come nel portacero pasquale di Gaeta) oppure i dannati che si presentano alla porta del paradiso (come nella cattedrale di Saint-Trophime, ad Arles). Da qualche secolo, infatti, si è cominciato a dar figura ad angioletti innocui, spensierati, coi boccoli biondi, magari danzanti o musicanti, lontanissimi dai drammi umani (viene il sospetto che si riferisse a loro l’inventore dell’espressione «questi non stanno né in cielo né in terra»).

Invece l’arcangelo in cima al castello, con quella spada, qualche pensiero lo dà, se non altro per il gesto bloccato a metà, inconcluso, che lascia immaginare una pace mai definitiva. Tanto più se, alle sue spalle, si affacciano dei nuvoloni. Poi, per fortuna, basta un raggio di sole per tornare a pensare che la vita è bella… e pure chi non crede all’angelo custode attribuisce agli esseri alati una funzione protettiva e rassicurante. Al punto che, ancor oggi, si dà dell’angelo a chiunque porti aiuto senza essere richiesto e senza farsi notare (una definizione sgradita a molti volontari, perché dà a credere che certe azioni siano fattibili solo da esseri eccezionali, mentre lo sono pure da quelli normali).

Gli angeli, comunque, hanno anche altri modi di venirci in soccorso: dando buone notizie e ricordando vittorie. Allo scultore belga dell’arcangelo Michele (o a papa Benedetto XIV, committente dell’opera) l’ispirazione deve essere giunta dai dieci angeli sottostanti, presenti sul ponte già da un’ottantina d’anni. Ognuno di loro fa memoria di uno strumento della passione di Gesù: la colonna alla quale fu legato, i flagelli, la corona di spine, il sudario, la veste e i dadi, i chiodi, la croce, il cartiglio con la scritta Inri, la spugna imbevuta di aceto e la lancia. Sempre immortalati dalle foto dei turisti (e forse incompresi), tali angeli non sono lì per esporre un bottino di guerra ma per non farci dimenticare ciò che è stato. E, con la loro serenità, annunciano i cieli nuovi e la terra nuova, resi possibili proprio da chi è stato vittima di quegli strumenti di offesa o di derisione, offrendo la vita per noi.

 

 

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