Il vangelo di oggi è spesso interpretato come l'abbandono dell'incredulità e della paura per abbracciare la fede. Ma esiste davvero una fede senza paura? Una umanità senza contraddizioni?
"La paura conduce al lato oscuro" dice il Maestro Yoda
Il maestro Yoda ha ragione: cedere alla paura significa aprire le porte verso quel luogo di tenebre che non accoglie la luce. (Gv 1,5) L'esperienza di ogni giorno però mostra chiaramente quanto sia difficile non provarla. Emanciparsi da essa non solo è una grande utopia ma è la cosa più lontana che ci sia dal nostro modo di rapportarci all'esistenza. È per questo motivo che la paura provata dai discepoli non deve stupire: essa fa parte di una sana dinamica del vivere. Vivere è oscillare tra il mattino della resurrezione e la sera della paura, tra l'esser fuori dal sepolcro e il rinchiudersi volontariamente. Il cenacolo altro non è che un sepolcro dell'intimità nel quale Gesù decide nuovamente di passare attraverso e di porsi al centro. L'annuncio di Maria di Magdala avrebbe dovuto riempire i discepoli di uno slancio vitale eppure la paura li rende immobili a qualsiasi relazione. Ma è quindi a Gesù che spetta, come all'inizio della storia dei discepoli, fare il primo passo.
A stupire è la modalità con cui Gesù entra in questa dinamica: porta la pace. Questa pace è innanzitutto la Shalom ebraica, un concetto che - come scrive Alberto Maggi - indica "ciò che concorre alla piena felicità degli uomini". Perciò non si tratterà di essere felici senza paura ma essere felici nella paura, o meglio, imparare ad essere beati (la declinazione di felicità per Gesù) nella strada che conduce ad abbracciare la propria, se pur fragile, umanità. Per questo è necessaria una grazia, lo spirito, che Gesù infonde con lo stesso afflato del Dio creatore in Genesi. Questo spirito riporta l'armonia del giardino, riporta al centro la vita ancor prima della morale, riporta l'uomo al centro dell'uomo stesso.
Gesù non ha paura a mostrarsi, a farsi vedere. Vedere è per l'autore del testo un verbo fondamentale: il suo vangelo è costellato da esperienze di guarigione della vista. Si comprende così perché non basta l'annuncio di Maria di Magdala: i discepoli possono riconoscerlo Signore solo nel momento in cui vedono quella stessa umanità che loro vivono, irta di difficoltà, attraversata in pienezza da Gesù. Se anche i discepoli vedono e poi credono, che differenza c'è tra Tommaso e gli altri? Basta appiccicargli l'etichetta di incredulo?
Eppure "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo". Tommaso è l'unico che fa esplicita la richiesta di abitare quella ferita di Gesù, la volontà di imparare a vivere le contraddizioni dell'uomo come lui lo ha fatto. Abitare l'umanità è "coltivarla e custodirla", ammirare ciò che non si comprende e che genera paura e allo stesso tempo ciò che ci riempie il cuore di gioia. È vero, c'è stata la morte, ci sono stati sangue e chiodi, ma non c'è altro luogo in cui imparare ad essere felici se non in questo giardino, in questa vita, in questa umanità.
"Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto". Gesù non risponde "Se crederai allora vedrai" ma "Credi e vedi"; credere è il modo di vedere la vita dentro la morte, Dio che vuole fare un cammino con l'uomo e condurlo ad essere davvero sé stesso, di abbracciare la felicità nelle contraddizioni del vivere. Essere increduli significa essere umani, ma questo è l'unico luogo in cui Gesù ci dice di poter essere felici.
Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore.
Kobayashi Issa (1763-1827)
Davide, 26 anni, della provincia di Milano, è studente di scienze religiose e insegnate di religione
28/04/2019 13:53 Pietro Buttiglione