Al pozzo di Sicar si incrociano tante storie: una donna samaritana con la sua storia, fatta di tanti fallimenti, un uomo di Galilea, con la sua storia e il suo destino, e infine un popolo con la sua storia, che risale ai tempi del patriarca Giacobbe.
Tanta storia attorno a un pozzo, eppure si parte dall’acqua e dalla sete, cioè da quello che ognuno vive nell’oggi, e che coagula attorno a sè la vicenda che ogni uomo si porta sulle spalle, frutto del cammino personale e di altri: una famiglia, un popolo, un luogo, una tradizione.
Il pozzo è luogo dove la memoria riaffiora e dove essa può essere redenta, se affidata a Colui che chiede acqua per dare acqua, oppure può tornare nell’oblio, nel buio del pozzo:
Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
Eugenio Montale canta, in questa lirica tratta da Ossi di seppia (1925), un ricordo che riaffiora, un volto che ride. Ma per il poeta il recupero si fa evanescente e impossibile, la distanza che il tempo ha posto è eccessiva. Il secchio torna sul fondo.
È come se il componimento raccontasse il primo tempo di quanto accade al pozzo di Sicar: storie che salgono alla superficie.
La donna di Samaria ha curiosità e coraggio: parla, domanda, risponde, dice di sé. Alla fine lascia la brocca, perché la sua storia ha incontrato una svolta che imprime il senso.
Sta a noi scegliere se affidare la nostra storia all’uomo di Galilea che ci aspetta al pozzo, perché dal passato, anche ferito, nascano verità e vita, oppure se lasciarla cadere nuovamente sull’«atro fondo» delle nostre povere vite. Sta a noi far smettere alla ruota di stridere.
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