Se le croci sono disseminate un po’ ovunque, la preghiera spunta spesso dove meno te l’aspetti, ma anche se non è del tutto ortodossa crediamo sia sempre gradita a Dio.
Nel passaggio epocale da una società di benpensanti ad una di non pensanti, il cristianesimo si dovrà porre sempre di più come chicco di grano fruttifero perché morente
È sempre lo stesso io quello che si apre e si chiude alla verità? O c'è un criterio per discernere l'io che accoglie la luce da quello che si rinchiude nelle tenebre?
Prima i poveri e l’identità collettiva, poi il gender e l’identità individuale: “buone nuove” dal rap italiano?
Quando la Chiesa volle formare gli artisti allo «spirito dell’arte sacra» (tale perché «imitazione di Dio creatore») esortò vescovi o «sacerdoti idonei» ad averne «cura» mediante «scuole o accademie» (SC, 127) e, per i preti, «durante il corso filosofico e teologico» (SC, 129).
Fu un caso che anche il discernimento episcopale, sia sulle opere d’arte «contrarie» o che «offendono» il senso religioso, sia sulla «nobile bellezza» (o «mera sontuosità») dell’«arte sacra» (SC 124), venne legato al «parere» di commissioni ad hoc e di «persone competenti» (126)?
Prosegue la quaresima con Marracash, questa settimana chiedendoci se c'è ancora qualcosa in cui credere e per cui morire...
Vale ancora l’invito conciliare di esporre le immagini sacre in modo che non suscitino «esagerata ammirazione» o «devozione sregolata» (SC 125)? E quello di «ricercare piuttosto una nobile bellezza che una mera sontuosità (…) anche per le vesti e gli ornamenti sacri» (124)?
Solo l’arte sacra, ma non la musica, è vista come attività di «ingegno umano» che ha il fine di volgere a Dio «le menti degli uomini» (SC 122). Per questo la prima, più razionale, prevede la «libertà d’espressione» (123)? Mentre la seconda, più emozionale, ha canoni determinati?
Musica sacra, canto gregoriano e organo a canne sono «un patrimonio d'inestimabile valore» (SC, 112). Ma alla fine (inevitabilmente?) non hanno “vinto” «il canto popolare religioso» (118), la «musica tradizionale di quei popoli» (119) e, soprattutto, gli «altri strumenti» (120)?
Che ne è stato della «cura» (SC, 114) e della «formazione» richiesta per la «musica sacra» (115)? E della missione dei compositori cristiani (121)? O del «posto principale» riservato al «canto gregoriano» (116)? E del «grande onore» riconosciuto all’«organo a canne» (120)?
Il percorso quaresimale come cammino verso la consapevolezza del valore reale delle "cose"...
Anche qui, da un lato, sono «conservati o restaurati gli usi e gli ordinamenti tradizionali», ma sempre «secondo le condizioni di oggi» (SC, 107); dall’altro lato, quello degli «elementi» liturgici, «se opportuno, se ne riprendano anche altri dall'antica tradizione» (SC, 109).
Il fatto che i padri conciliari vollero ricordare «le conseguenze sociali del peccato» (SC 109), sollecitando una «penitenza quaresimale (…) anche esterna e sociale», rivela quanto la spiritualità cattolica si fosse ridotta ad essere meramente «interna e individuale» (SC 110).
Dalla revisione dell’anno liturgico si coglie quanto le “feste dei santi” (SC 111) sovrastassero le “feste del signore” (108) – come la domenica (106) o la quaresima (109). Tant’è che si ricordò chi è il modello (Cristo) e chi è la copia esemplare (i santi – 104 – e Maria - 103).
Certo, l’ufficio divino è la «preghiera pubblica della Chiesa» (SC 90; 98), ma non stride un po’ parlare di «obbligo» (85, 97) o «dovere» (86; 96; 99) e, al contempo, di «fervore» (86) e «devozione interiore» (99), soprattutto se espressi in «coro» (95) e in «comune» (99-100)?
Anche qui si toglie o si muta «ciò che ha sapore mitologico» (SC 93), come «le “passioni” o vite dei santi» (92), e si selezionano dalle «raccolte innografiche» altri inni «secondo opportunità» (93), come per le «opere dei Padri, dei dottori e degli scrittori ecclesiastici» (92).
Quale responsabilità per chi recita l’ufficio, se esso deve essere simile ad un «inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti» (SC 83), ad un «mirabile canto» (84) mediante cui il «tempo» si accorda con l’eterno (88-89; 91; 94) e «l’anima corrisponde alla voce» (90)!
Stupisce sempre rileggere, nell’invito a comporre un rito di ammissione nella comunione della Chiesa, la frase «coloro che, già validamente battezzati, si convertono alla Chiesa cattolica» (SC, 69). D’altronde, non si festeggia ancora oggi un’inesistente conversione di san Paolo?
Ci fu un tempo in cui la Chiesa riconobbe nei sacramenti e sacramentali un grande deficit – da revisionare! - in tema di origine «pasquale» (SC 61), chiarezza (SC 62), «istruzione» (SC 59) degli «adulti» (SC 64), «cosciente e attiva partecipazione» (SC 79). E oggi? Va tutto bene?
Dalla revisione del matrimonio emerge quanto non fossero chiari “la grazia del sacramento” (SC 77) e che “entrambi gli sposi” avessero “lo stesso dovere della fedeltà vicendevole” (78). Se per secoli è mancato quel “vicendevole”, come lamentarci dell’attuale crisi del matrimonio?
Anche nell’estensione della «facoltà» di concelebrare, oltre che nello speculare divieto di «celebrare individualmente» durante il giovedì santo (SC, 57), vediamo tracce di un bel desiderio di comunità, il cui riflusso e spengimento osserviamo, invece, quasi impotenti, da anni.
Se ricevere il corpo di Cristo è partecipazione «più perfetta» alla messa e perciò da raccomandare «molto» ai fedeli (SC, 55), come sperare d’istruirli affinché vivano veramente «le due parti» della messa come «strettamente congiunte» (SC, 56) e in «mutua connessione» (SC, 21)?
Ma quell’omelia raccomandata «vivamente», e non omettibile «se non per grave motivo», riesce veramente a presentare, a rendere presenti e attuali, «i misteri della fede e le norme della vita cristiana» (SC, 52) o le «mirabili opere di Dio nella storia della salvezza» (35, n.2)?
In ogni buona «revisione» ecclesiale (SC, 23; 31; 38) sono soppressi «elementi duplicati o aggiunti senza grande utilità col passare dei secoli», mentre sono ristabiliti - «secondo tradizione» e «nella misura opportuna o necessaria» - altri «elementi col tempo perduti» (SC, 50).
Dire meglio l'evento vissuto da Paolo è il frutto e il rilancio del dialogo profondo con la Parola di Dio, gli ebrei e gli altri cristiani
Segno dei tempi conciliari fu anche, purtroppo, continuare a legare «messa» e «sacrificio» (SC, 2; 7; 12; 47; 49; 55). Solo una volta si affianca «eucaristia» a «pietas» e «caritas» (47; forse 10). Mai a perdono e misericordia: arranchiamo ancora dietro al Vangelo e ad Osea!
Il concilio ripristinò la preghiera comune dei fedeli come uno dei segni di «partecipazione del popolo» al mistero eucaristico (SC, 53). Perché non si è trovato un modo definitivo per effettuare solo intenzioni della comunità locale legate al vangelo, all’omelia e all’attualità?
«Il rinnovamento della liturgia», quale «segno dei provvidenziali disegni di Dio» e del «passaggio dello Spirito Santo» (SC, 43), fu legato alla creazione di commissioni (di liturgia, musica e arte sacra) che coadiuvassero i vescovi nazionali (44) e locali (45-46). Fu un caso?
Il Concilio volle riti in cui si curassero i «gesti del corpo» e il «sacro silenzio» oltre che le «risposte» e i «canti» (SC, n.30), la «capacità di comprensione» oltre che la «semplicità» e la «brevità» - «senza inutili ripetizioni» o «molte spiegazioni» (n.34). Noi lo attuiamo?
Discernere quali adattamenti liturgici siano «utili e necessari» può essere «difficile»: perciò ogni adattamento «profondo» va fatto dai vescovi e dalla Santa Sede con «attenzione e prudenza», ricorrendo a «persone competenti» e ai «necessari esperimenti preliminari» (SC, 39-40).
Nell’«autentico spirito liturgico» non c’è «rigida uniformità» (SC, n.37), ma «sostanziale unità» e «legittime diversità» (n.38) che, però, non mettano «in questione la fede o il bene comune» e includano «superstizioni» o «errori» (n.37). Ma chi e come discerne questo discrimine?
Prima che sostituisse il latino, «l’uso della lingua volgare» sembrava più una concessione, legata alla sua «grande utilità» (SC, 36) per una liturgia intesa (anche) come «fonte di istruzione» per «la fede dei partecipanti» e per rendere a Dio «un ossequio ragionevole» (SC, 33).
Avvento, Natale, Epifania e Battesimo: un trionfo per le papille gustative che dice molto riguardo una sana spiritualità incarnata...
Se nella liturgia non si deve fare «alcuna preferenza di persone private o di condizioni sociali», mi stupisce ancora molto che tale regola non valga per «gli onori dovuti alle autorità civili a norma delle leggi liturgiche» (SC, n.32). Far notare tutto ciò è populismo cattolico?
C'è un lato tragico e sapienziale del cristianesimo, spesso trascurato, che sarebbe fondamentale per affrontare "le trame del male" e la "logica della guerra" che impazza...
La necessità di ricordare con forza che «le azioni liturgiche non sono azioni private» - e che la «celebrazione comunitaria» del «corpo della Chiesa» (SC, n.26) è «da preferirsi» a quella «individuale e quasi privata» (n.27) - fa capire bene quale fosse l’“andazzo” preconciliare.
Il divieto assoluto per chi non è vescovo (o conferenza episcopale) di «regolare» la liturgia (SC, n.22) o di compiere ciò che non è «di sua competenza» (n.28), senza «buon ordine» e «sincera pietà» (n.29), non rivela anche troppa paura per gli effetti della riforma liturgica?
Data l’«importanza estrema» della Bibbia per il «significato» della liturgia, doveva esserne «favorito» il «gusto saporoso e vivo» (SC, n.24), oltre che una lettura «più abbondante, più varia e meglio scelta» (n.35; 51; 90; 92). Forse sul primo obiettivo c’è ancora da lavorare…
Quando la Chiesa volle rendere i preti dei «maestri» esemplari sul «senso» profondo e lo «spirito» della liturgia (SC 14;19), elevò la liturgia tra le materie «più importanti» (16) e a essa li formò, dall’inizio (17) o ‘in itinere’ (18), con docenti di «speciale formazione» (15).
Come per ogni novità ecclesiale, il problema di fondo fu discernere la “parte immutabile di istituzione divina” - da conservare - e le “parti non più idonee” o in cui ci fossero “elementi meno rispondenti alla intima natura della liturgia” – da cambiare (SC, n.21). Ci riuscirono?
L'ultima domenica di Avvento e la notte di Natale si sfiorano miracolosamente, come se anch'esse volessero partecipare alle nozze tra tempo ed eternità...
A 60 anni dalla riforma liturgica, si fa «ogni sforzo» per la «formazione» del popolo di Dio ad una «partecipazione» liturgica (SC, n.14) che avvenga «in modo consapevole, attivo e fruttuoso» (n.11)? Ci si ricorda che, altrimenti, essa non avrebbe una «piena efficacia» (n.11)?
Quanto coraggio ci vuole per ascoltare in silenzio con il cuore in ginocchio? Per discernere le nostre e altrui emozioni interiori? Per scegliere di uscire dai nostri labirinti e andare verso l’altrove?
Se ufficio profetico «sacerdotale» e regale di Cristo si equivalgono, non è problematico dire che solo le «azioni liturgiche» sono «azione sacra» ineguagliabile in «efficacia» (SC, n.7)? «Culmine» e «fonte» dell’«azione della Chiesa» (n.10), pur non esaurendola «tutta» (n.9)?
Quale traduzione “maltratta” di più l’espressione «nostrae reconciliationis processit perfecta placatio» (SC, n.5), se non quella italiana che, a differenza di quella spagnola, inglese e tedesca, fa comparire un fuorviante riferimento ad un Dio «ormai placato»?
Nel bel mezzo del cammino di Avvento, festeggiamo la domenica del "gaudete". Ma qual è il motivo di tale festeggiare?
La «vita liturgica» (dal battesimo al «sacrificio» dell’eucaristia) «attua» il mistero pasquale della «redenzione» e della «salvezza» dalla «morte», per una «perfetta glorificazione» di Dio. Era necessario parlare anche di «riconciliazione con un Dio ormai placato» (SC n.5;6)?
Per «conservare la sana tradizione» e farne scaturire «organicamente» ogni «revisione» e «legittimo progresso», servono «prudenza» evangelica, adeguata lettura del «nostro tempo» e dell’«utilità della Chiesa», «accurata investigazione teologica, storica e pastorale» (SC n.4; 23).
Nell'ottica sinodale il "missionare" insieme consiste in una mera "chiamata alle armi dei riservisti" o nella non più rinviabile sperimentazione ai margini?
Coloro che partecipano alla liturgia, «specialmente al divino sacrificio dell'eucaristia», possono attestare che essa «fortifica le loro energie» per meglio «predicare il Cristo» e per mostrare la Chiesa come ciò intorno cui «i figli di Dio dispersi possano raccogliersi»(SC n.2)?
Nella prima, fondamentale scena del vangelo più antico tutto sembra dire che il Messia atteso sarà sempre “altro” da ciò che attendiamo e speriamo.
Il Vaticano II verrà giudicato dai propositi iniziali di SC n.1: ha fatto «crescere la vita cristiana tra i fedeli»? Contribuito «all'unione di tutti i credenti in Cristo»? Chiamato «tutti nel seno della Chiesa»? Adattato al «nostro tempo» le istituzioni ecclesiali mutabili?
Se una forte emozione può spingerci a prendersi cura dei piccoli, è un surplus di ragione che serve per insegnare ai piccoli come prendersi cura di se stessi...
Se veramente vivessimo vedendo Gesù nei corpi dei carcerati, degli immigrati, dei poveri e dei malati, allora potremmo seriamente di smuovere ogni tipo di montagna...
Quanto ci preoccupiamo di prestare l'attenzione dovuta a ciò che è almeno ragionevolmente prevedibile e, quindi, ad agire di conseguenza?
«Apprendimento reciproco» e «dialogo» con «altre religioni, convinzioni e culture» possono diventare «lo stile pastorale della Chiesa» [I,2,e)] solo se le Chiese riconoscono la loro «costituiva incompiutezza» rispetto al «Mistero di cui pure sono segno e strumento» [I,2,b)].
Per divenire «operatori di pace», nell’individualismo e populismo attuali, basta avere «una più profonda consapevolezza» d'essere fratelli che banchettano [I,1,a-d)]? I fratelli non si uccidono e si maledicono "da sempre", perché in famiglia hanno imparato ad ‘arraffare’ tutto?
I padri e le madri sinodali hanno vissuto il Sinodo come «testimonianza» di «armonia» e «unità» in un «mondo lacerato» dalle «guerre». Anche il santo e cattolico popolo di Dio ne è convinto o si sta assuefacendo all’ipotesi di una guerra mondiale anche in territorio europeo?